10) Nymphomaniac (Lars Von Trier)
Diviso in capitoli, quelli a cui il regista danese ci ha abituati sin da Le onde del destino e distribuito in due parti, Nymphomaniac è forse la pellicola più cupa e cruda di Von Trier, che mette in scena la carnalità ibernata della sua protagonista nel corso degli anni con amarezza e disillusione. La sessualità diventa così un problema teorico al centro della discussione tra la ninfomane Joe e il frigido Seligman, due facce della stessa medaglia.
9) Lo sciacallo – The Nightcrawler (Dan Gilroy)
Evoluzione naturale del Mark Lewis de L’occhio che uccide, il Lou Bloom interpretato da un sorprendente Jake Gyllenhaal è il cinico protagonista del primo film da regista dello sceneggiatore Dan Gilroy. Un cronista d’assalto emaciato e con gli occhi fuori dalle orbite attraverso il cui sguardo vediamo costruire una storia che si fa manifesto sociale dell’alienazione umana, abitata da personaggi tanto esasperati da rasentare la caricatura. Con un inseguimento mozzafiato nel finale che strizza l’occhio per tecnica e atmosfere al miglior Michael Mann, Gilroy ci mostra il lato oscuro del giornalismo e la deriva squilibrata dell’American dream.
8 ) A proposito di Davis (Joel e Ethan Coen)
Una settimana di vita di uno squattrinato cantautore folk ispirato alla figura di Dave Van Ronk e interpretato da uno strepitoso Oscar Isaac. Artista incapace di imporsi sulla scena musicale dei primi anni Sessanta, loser poetico e creativo, Llewin Davis è un primatista dell’inadeguatezza il cui vagabondare, sia fisico che psicologico, rappresenta la quintessenza degli antieroi che tanto piacciono ai Coen. E anche a me.
7) Sils Maria (Olivier Assayas)
Assayas e il suo film-riflessione sull’attore e sul Personaggio impossibile da abbandonare, in cui verità e finzione si sovrappongono. In un gioco di specchi che alterna essere e apparire il regista francese punta tutto sulle sue eccezionali protagoniste, Juliette Binoche e Kristen Stewart per la sua storia più viscerale e spontanea, complessa e necessaria, sull’inarrestabile divenire dell’essere umano.
6) Grand Budapest Hotel (Wes Anderson)
Una farsa delirante e patinata che racchiude tutte le caratteristiche peculiari del cinema di Wes Anderson: ipercromatismo, inquadrature simmetriche e impeccabili, luoghi fiabeschi in cui personaggi strambi e spesso disadattati trovano una sorta di isola felice in cui potersi rifugiare. E’ il tripudio dell’estetica che, incredibilmente, non va a scapito del narrato. Un inno alla fuga mascherato da commedia di maniera sontuosa e caleidoscopica.
5) Lei (Spike Jonze)
In una società in cui lo smartphone e i social network sembrano il fulcro attorno al quale girano le relazioni umane, non è poi così strano innamorarsi di un sistema operativo di nuova generazione. Specie se ha la voce di Scarlett Johansson. Jonze sembra saperlo bene e confeziona, con romanticismo e un pizzico di utopia, una delle storie d’amore più assurde, originali e credibili mai raccontate.
4) Snowpiercer (Bong Joon-ho)
Il talento del regista coreano di Memories of Murders e The Host abbraccia per la prima volta una sceneggiatura e un cast internazionali. Incredibile come sia riuscito a racchiudere un mondo nei vagoni di un treno tra speranza, vendetta, violenza, carità, incastrando i personaggi in una spietata coreografia dicotomica di lusso e povertà, privilegio e ingiustizia, assolutismo e desiderio di democrazia.
3) Due giorni, Una notte (Jean-Pierre e Luc Dardenne)
Un’altra storia di ultimi dai due fratelli belgi, un’altra storia di gente che, nell’Europa della crisi, è stretta dal bisogno e dalla paura di perdere il posto di lavoro. Una percorso poetico, il loro, che mira ad attestare il fallimento della società. Marion Cotillard ne è la protagonista, umile e bellissima, prosciugata dalla depressione e dallo Xanax.
2) L’amore bugiardo – Gone Girl (David Fincher)
Fincher gioca a fare Hitchcock e ci riesce benissimo. Il regista di Se7en, Zodiac e The Social Network dirige un thriller d’altri tempi pieno di suspense e colpi di scena. Una riflessione profonda e spietata sul tema della coppia che si fa parabola brutale sul deterioramento delle relazioni umane, interpretata da un cast assolutamente perfetto.
1) The Wolf of Wall Street (Martin Scorsese)
Una porta in faccia appena svegli, una corsa d’inverno a piedi nudi nella brughiera, tre ore che sembrano tre minuti. L’ascesa del broker truffatore e cocainomane interpretato da un DiCaprio mai tanto mostruoso è un concentrato di eccessi e sfrenatezze.
Elogio dell’arrivismo corrotto che sta alla base del logorio della società contemporanea, il piazzista trasformato in lupo che veste Armani non conosce redenzione. Simbolo perfetto di un mondo sfacciato, avido e prepotente in cui il Quaalude scorre a fiumi e il termine moralità assume significati del tutto inaspettati, The Wolf of Wall Street è uno dei migliori Scorsese di sempre, girato da un settantenne con la sfrontatezza e l’arroganza di un ventenne.
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