MIA Market 2019: la quinta edizione sarà dal 16 al 20 ottobre
— 2 giugno 2019Torna l’appuntamento per i leader dell’industria audiovisiva.
5) Boyhood (Richard Linklater)
12 anni di lavorazione per quasi tre ore di piccolo-borghesume suburbano e di ciance che cercano di catturare un impossibile zeitgeist progressivo, un’opportunità persa dove il progetto a monte non giustifica la vacuità di fondo: meglio rivedere I bambini di Golzow.
4) Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà (Ken Loach)
Un ritratto nostalgico e militante prigioniero di un manicheismo e di un populismo fuori tempo massimo, l’ulteriore capitolo di una testimonianza civile che ha smarrito la ottica sul presente e la propria necessità per consolarsi dietro schemi e canoni desueti.
3) Boxtrolls – Le scatole magiche (Graham Annable e Anthony Stacchi)
Tonfo della Laika dopo la rivoluzione di Coraline e la porta magica, un pastrocchio sgradevole per il pubblico infantile e irricevibile per quello adulto che conferma lo stato di crisi dell’animazione occidentale mainstream.
2) Ritorno a l’Avana (Laurent Cantet)
Un Grande freddo destrorso, lagnoso e putrefatto in cui regnano sovrane ciarle piagnucolose e para-generazionali degne del Salvatores che fu: nessuna autenticità, tanti stereotipi e solo stanchezza dove è impresa ardua scorgere l’occhio limpido del Cantet dello scorso decennio.
1) Pasolini (Abel Ferrara)
Ciò che vorrebbe dirsi un omaggio sentito risulta invece in uno stiracchiato bignami encomiastico e pretenzioso che si imbarca nella scellerata missione di concretizzare senza pudore l’incompiuto di una delle maggiori personalità del Novecento italiano: un biasimevole, indegno obbrobrio.
5. Dracula Untold (Gary Shore)
Del resto, se è rimasto untold per così tanto tempo, un motivo doveva pur esserci.
4. Necropolis – La città dei morti (John Erick Dowdle)
Poche cose irritano quanto un film horror che non fa paura.
3. Magic in the Moonlight (Woody Allen)
Allen, si sa, ne fa uno buono e poi, l’anno successivo, uno brutto. Ecco, Blue Jasmine era buono.
2) Maleficent (Robert Stromberg)
L’intuizione di trasformare la strega de La bella addormentata da cattiva in buona ottiene l’unico risultato di renderla anche più odiosa.
1) Un ragionevole dubbio (Peter Howitt come Peter P. Croudins)
In genere è sempre meglio diffidare di un film che lo stesso regista ha il timore di firmare col suo vero nome.
5) Transcendence (Wally Pfister)
Chissà perché, un bel giorno, il direttore della fotografia di Christopher Nolan ha deciso di fare il salto e di passare in cabina di regia. Per di più per girare un film di fantascienza su un genio dell’Intelligenza Artificiale (Johnny Depp, che se non si sceglie un film decente, rischia davvero brutto) che muore ma è pronto a rinascere dentro lo schermo di un computer dopo che la sua coscienza viene uploadata su un server?
4) La foresta di ghiaccio (Claudio Noce)
Il ritmo, questo sconociuto. La storia, ma qale? Vera e propria débâcle del nostro cinema per via di quell’aria pretenziosetta da film di genere che poi di genere non è, la seconda pellicola di Claudio Noce, è tutta ralenty, flashback e attimi di sospensione. “Molte cose possono capitare nel bel mezzo del nulla”, si leggeva nella tagline di Fargo dei Coen, a cui Noce si è evidentemente ispirato. Ma quello era un altro film.
3) Fratelli unici
Una storia da fiction di serie z con un cast le cui performance sono paragonabili a una scolaresca di terza elementare durante la recita di Natale. Un campionario di battute infelici, una di seguito all’altra (“Sei bellissima ma ti comporti da brutta” e cose così), riempiono un copione che probabilmente nessuno voleva girare. E sarebbe stato meglio.
2) Noah (Darren Aronofsky)
Forse non lo sapevate, ma di Darren Aronofsky in realtà ce ne sono due. Uno è un bravo regista che firma lavori come The Wrestler e Il cigno nero. L’altro è un invasato vicino a strani culti sincretistici che ha diretto cose come The Fountain e Noah. Chissà poi che versione della Bibbia ha sul comodino l’Aronofsky new age, visto che nella Storia delle storie ha inserito strambi personaggi che risulterebbero fuori luogo persino nella Terra di Mezzo.
1) Pompei (Paul W. S. Anderson)
Immaginate Il Gladiatore che incontra Spartacus, e mettete il tutto in mano al regista di Resident Evil. Quindi abbiamo un peplum fatto da un tedesco, che però non è un documentario. Dialoghi al limite dell’inverosimile, cast che se lo avessero scelto a caso, sarebbe andata sicuramente meglio e una Pompei patinata come mai avremmo osato immaginare. Mancano solo le comparse con l’orologio al polso, o forse no.
Torna l’appuntamento per i leader dell’industria audiovisiva.
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