Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Si parla da tempo della crisi del cinema horror. Nonostante qualche titolo incoraggiante uscito di recente come Sinister, o particolarmente fortunato al box office come Annabelle, il punto è che quando si parla di questo genere di film, sempre più spesso abbiamo a che fare con il già visto. Pensandoci bene, però, il già visto è una di quelle caratteristiche che non può e non deve mancare in un horror: gli spettatori che decidono di trascorrere la serata a guardare storie di case stregate e di spietati serial killer lo fanno perché sanno di trovare porte che scricchiolano, soffitte che nascondono chissà quali segreti e la corrente che salta nel momento clou. Tutti elementi che, in qualche modo, fortificano la loro scelta . E allora a un regista alle prese con un film horror si pone un compito davvero ingrato: da una parte dovrà infatti spaventare il pubblico cercando di proporre dinamiche differenti da quelle già utilizzate dai suoi colleghi, dall’altra garantirgli la presenza di tutti quegli elementi che pretende di trovare in una storia di paura.
Una riflessione che non deve aver minimamente sfiorato l’esordiente Stiles White che scarta ogni traccia di novità in favore di clichè già ampiamente spremuti e abusati. Pur essendo alla sua prima regia, White non è esattamente un novellino e si è fatto le ossa nel genere: troviamo il suo nome tra quelli degli sceneggiatori di Boogeyman – L’uomo Nero e The Possession e si è occupato degli effetti speciali di pellicole quali Intervista col vampiro e Il sesto senso. Dietro le sue spalle, tre giganti: la Blumhouse Production, di quel Jason Blum produttore dei più fortunati film horror americani degli ultimi anni (Paranormal Activity, Oculus, Insidious, Sinister, Le streghe di Salem, The Bay, The Purge, i due capitoli de La notte del giudizio), la Platinum Dunes di Michael Bay e la Hasbro, società americana di giochi che dal 1991 detiene il marchio registrato delle tavolette ouija e ne è uno dei maggiori produttori.
Con questi nomi a sostenere il progetto, le aspettative erano piuttosto alte. Invece Ouija si rivela un filmetto prevedibile e insapore, costruito su una storia che definire banale è poco e con interpreti apatici che il più delle volte sembrano essere capitati nell’inquadratura per sbaglio. Un altro horror vittima degli stereotipi di genere, stanco e trascinato, segnato da un dilettantismo registico quasi fastidioso e da effetti speciali, sulla carta la specializzazione di White, rozzi e grossolani.
Nonostante dal punto di vista cinematografico Ouija risulti quindi essere un disastro, da quello prettamente commerciale si è rivelato invece un grande successo. Negli States il film è uscito nel weekend di Halloween, incassando oltre cinquanta milioni di dollari e le tavolette della Hasbro sono state uno dei regali di Natale più richiesti da adolescenti e non. Vedremo se il pubblico italiano risponderà con altrettanto entusiasmo.
Voto 4
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
L’horror sulla tavoletta invoca-spiriti diretto da Stiles White, ennesima vittima degli stereotipi di genere.
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