Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
E’ uno degli attori feticcio di Sam Raimi (era in Gioco d’amore, The Gift e nei 3 Spider-Man), dei fratelli Coen (Ladykillers, Burn after Reading, Il Grinta) e di Jason Reitman (Thank You for Smoking, Juno, Tra le nuvole), per non parlare delle numerose serie TV cui ha preso parte. Il suo è un volto assolutamente noto, eppure doveva arrivare uno sbarbatello come Damien Chazelle, classe 1985 (qui al suo secondo lungometraggio, dopo Guy and Madeline on a Park Bench), per fare in modo che il nome di J.K. Simmons non lo dimentichi più nessuno. In Whiplash è Terence Fletcher, insegnante di batteria di mezza età temuto da tutti nel conservatorio di Manhattan per i metodi adottati, tutt’altro che ortodossi, fatti di schiaffi, sedie lanciate e ogni tipo di violenza verbale e psicologica nei confronti degli allievi. Tra loro c’è anche il giovanissimo e talentuoso Andrew (Miles Teller) che non ha tempo per gli amici o le ragazze, ma si dedica soltanto alla batteria e al jazz. Così prova dopo prova, sessione dopo sessione, il percorso di Andrew per diventare il nuovo Buddy Rich sarà a dir poco devastante e, naturalmente, legato a doppio filo con quello di Fletcher.
Nato come un corto e riscritto come un lungometraggio, Presentato al Sundance lo scorso anno dove ha conquistato il premio della giuria e quello del pubblico, vincitore di un Golden Globe (andato proprio a J.K. Simmons e alla sua performance impeccabile e granitica), Whiplash è l’outsider degli Oscar di quest’anno, dove arriva con 5 nomination tra cui quella per il Miglior Film. Pellicola che odora di indie sin dalla prima inquadratura (prodotta non a caso da Jason Reitman) girata in una ventina di giorni con un budget di tre milioni di dollari e un numero di attori che si contano sulle dita di una mano, è la dimostrazione di quanto il cinema possa andare lontano, raccontando storie piccole piccole eppure eccezionali.
Prendendo la musica come pretesto, Chazelle mette in scena un perfetto bildungsroman dei nostri giorni unito a una buona dose di American Dream: per Andrew la batteria rappresenta la crescita e non si accontenta di diventare bravo, ma aspira ad essere il migliore. Condisce la sua storia con un po’ di duro allenamento (Rocky, Million Dollar Baby e Batman Begins, ma anche Il discorso del re, insegnano) e aggiunge un buona dose di dsciplina ferrea à la Full Metal Jacket (di fatto Andrew viene sottoposto a un training di stampo militaristico da parte di Fletcher che ricorda molto quello adottato dal sergente Hartman del film di Kubrick). Whiplash è il Jazz che vince sul Rock a suon di sudore, mani sanguinanti e sessioni sfiancanti: se non hai talento finirai per suonare in una rockband, recita un foglio appeso in camera di Andrew. Con una storia impostata interamente sul confronto/scontro tra i due protagonisti (nonostante per le categorie dei premi il suo sia un “Supporting Role”, riesce davvero difficile incasellare Simmons come semplice comprimario) e un ritmo che le cresce dentro fino quasi a farla esplodere, Whiplash racconta la voglia di primeggiare a ogni costo in un modo intenso e viscerale. La dedizione di Andrew a poco a poco diventa ossessione sotto i nostri occhi, abnegazione pura nei confronti della sua batteria, un mostro che gli fa lasciare indietro tutto e tutti e che si nutre del suo non voler essere secondo a nessuno.
Poi un cambio di prospettiva: allora la sfida, più che con Fletcher, diventa con se stesso. Fino all’epilogo, da standing ovation.
Voto 8,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Talento e ossessione a ritmo di Jazz nello straordinario film di Damien Chazelle con J.K. Simmons e Miles Teller.
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