Suite francese

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E’ un cinema di donne quello di Saul Dibb, regista britannico che già sei anni fa aveva suscitato una certa curiosità con La duchessa, storia di Lady Georgiana Spencer, imperatrice della moda nell’Inghilterra di fine Settecento e che con Suite Francese torna a raccontare una vicenda con una prospettiva tutta al femminile. Seguendo le orme lasciate da Douglas Sirk, autore simbolo del melodramma familiare (Magnifica ossessione, Come le foglie al vento e via dicendo), la passione di Dibb per gli amori impediti, gli scontri familiari e le figure di donne sole, forti e inquiete capaci di dirottare il loro destino verso lidi forse più felici, rappresenta il fulcro di questo mélo di ampio respiro che si staglia in modo piuttosto netto dal sottobosco del genere, pullulante di storie e storielle generalmente stucchevoli e lacrimose oltre ogni misura.



Per farlo Dibb si appoggia a Dolce, opera incompiuta che Irène Némirovsky scrisse in segreto durante la Seconda Guerra Mondiale, prima di finire i suoi giorni ad Auschwitz nel 1942. Ambientato in Francia nel 1949, Suite Francese narra la storia di Lucile Angellier (Michelle Williams) che, nell’attesa di ricevere notizie dal marito prigioniero di guerra, vive un’esistenza soffocante insieme alla suocera (Kristin Scott Thomas), donna fredda e dispotica. L’esistenza della ragazza viene stravolta quando la cittadina in cui vive viene invasa dai soldati tedeschi, ai quali gli abitanti del posto sono obbligati a dare ospitalità. Inizialmente Lucile ignora la presenza di Bruno (Matthias Schoenaerts), un colto ufficiale tedesco che è stato dislocato nella loro abitazione, ma presto vedrà nascere un sentimento profondo nei suoi confronti.

In un film appartenente a un genere da sempre considerato secondario e di minor valore rispetto ad altri, quale è appunto il melodramma, c’è sempre bisogno di un elemento distintivo, di uno o più tratti caratteristici che facciano la differenza. In Suite francese la differenza la fanno il cast e il punto di vista da cui la storia viene raccontata. Michelle Williams conferma le sue doti attoriali, impeccabile anche Matthias Schoenaerts, già apprezzato al fianco di Marion Cotillard nello struggente Un sapore di ruggine e ossa mentre Kristin Scott Thomas è perfetta nei panni dell’impassibile suocera. Interessante poi come Dibb abbia voluto assegnare ad attrici già affermate ruoli di contorno che evidentemente tanto di contorno poi non sono. Ruth Wilson (fresca di un Golden Globe per il suo ruolo nella serie TV The Affair) e una quasi irriconoscibile Margot Robbie (The Wolf of Wall Street, Focus – Niente è come sembra) sono del tutto credibili nei panni di due contadine francesi alle prese con i non facili problemi familiari che l’invasione nemica non fa che acuire.

La Némirovsky conferisce al racconto una prospettiva corale che, partendo da volti di donne che emergono dalla massa e servendosi delle loro vicende per far luce sulle ingiustizie perpetrate ai danni del singolo, a poco a poco si allarga fino ad offrire uno sguardo più ampio sull’impatto devastante che un conflitto può avere sulla collettività. Dibb la segue in questo e mette in scena una guerra femmina, con le protagoniste costrette ad uscire dal “rassicurante” affresco domestico, ora mogli, madri, suocere disarmate che non hanno altro modo di combattere il nemico se non guardandolo negli occhi.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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