Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Paula Bélier (Louane Emera) ha sedici anni e, oltre a tutti i problemi che già questo comporta, regge anche il peso di una responsabilità importante. E’ infatti l’unica della sua famiglia a non essere sordomuta. Succede così che la sua voce, oltre a rappresentare un filtro indispensabile tra i suoi cari e il mondo esterno, sia anche particolarmente bella e, quando il suo insegnante di musica se ne accorge e le propone di partecipare a un provino che potrebbe portarla a studiare a Parigi, molte delle certezze dei Bélier vengono irrimediabilmente a mancare.
In un primo momento i genitori non capiscono la scelta di Paula e, in qualche modo, la vivono come un tradimento e la ragazza stessa è titubante all’idea di abbandonarli.
Ma i sedici anni sono un momento importante e, insieme alla scoperta dell’amore e del proprio talento, Paula comprenderà anche che partire rappresenta un passaggio fondamentale della crescita.
Nulla da dire, i francesi ci sanno fare con questo genere di storie.
Anzi, si potrebbe addirittura affermare che questo genere di storie se le siano inventate proprio i francesi.
Prendendo il via da una forma di disagio, la spogliano di tutti (o quasi) i possibili meccanismi ricattatori che altri ci costruirebbero attorno e sviluppano una commedia che graffi ma non troppo nella prima metà, per poi consolare e commuovere con un finale, ça va sans dire, parecchio lieto.
La formula è più o meno quella sintetizzata qualche anno fa nel campione d’incassi Quasi amici e non è affatto un caso che anche La famiglia Bélier, in Francia, abbia fatto faville al botteghino.
E’ un po’ come se ci fosse una formula matematica che noi italiani siamo evidentemente incapaci di assimilare e che, una volta applicata, garantisca il massimo successo commerciale senza rinunciare però a una solida qualità da prodotto medio a far sì che non si cada mai nel miele o nella facile retorica a tema handicap.
Se a questo aggiungiamo anche il tema dell’impegno attraverso il quale la protagonista vede sbocciare un talento fino ad allora nascosto, appare chiaro come film di Eric Lartigau (già autore de Gli infedeli con Jean Dujardin) non solo rappresenti la quintessenza delle dinamiche di scrittura succitate, ma le porti addirittura un gradino più su.
Al tempo stesso, però, ha il raro merito di trovare la giusta chiave per parlare di una problematica anche piuttosto seria con un’intelligenza e una leggerezza di fondo davvero fuori dal comune.
Sarebbe infatti poco corretto riferirsi a La famiglia Bélier semplicemente come ad un film carino e garbato, magari anche in maniera calcolata o furbetta perché Lartigau, sebbene si muova all’interno di un canone perfettamente codificato, due o tre rischi alla fine se li prende.
C’è una scena, in particolare, in cui la madre di Paula (interpretata da un’esilarante Karin Viard) confessa alla ragazza quanto, alla sua nascita, fosse rimasta delusa nell’apprendere che questa non fosse sordomuta. Come se il non soffrire del suo stesso handicap la rendesse diversa.
Questo momento di adorabile inversione semantica, insieme alla commovente sequenza finale, è già utile a rendere l’idea di un cinema che non sacrifica la possibilità di dire qualcosa di nuovo o comunque di non banale sull’altare del box office.
Poi, certo, ci sarebbe da dire degli attori (tutti bravissimi, nessuno escluso) e di come riescano a commuovere lo spettatore senza mai schiacciare il piede sul pedale del pietismo e, in particolare, della protagonista Louane Emera, così giovane eppure già in grado di veicolare soavità e basso profilo in maniera così lucida e matura, ma è l’opera nel suo complesso a conquistare.
Forse il segreto della riuscita di questo film è proprio nella sua apparente semplicità e nella capacità di emozionare senza far sfoggio di emotività insistita o alzare mai la voce.
E’ proprio un gioiellino La famiglia Bélier.
Un invito alla leggerezza che, una volta usciti dalla sala, fa davvero sentire un po’ meglio.
Almeno fino al momento in cui si inizia a riflettere (il consiglio spassionato è di evitare in tutti i modi di farlo) su quale possa essere il corrispettivo italiano di un film come questo.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Sordità e adolescenza nella deliziosa commedia campione d’incassi in Francia diretta da Eric Lartigau.
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