Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Irlanda del Nord, Contea di Sligo.
Padre James Lavelle (Brendan Gleeson) è un buon uomo, un po’ burbero ma dedito esclusivamente alla propria missione.
Peccato però che tutte le sue buone intenzioni vengano puntualmente frustrate dal cinismo e dalla volgarità degli abitanti del piccolo villaggio di campagna in cui vive.
Durante una confessione, una domenica mattina, un uomo gli confida di essere stato ripetutamente violentato da un sacerdote quando era ragazzo e ora, per vendicare l’ingiustizia subita, ha deciso di uccidere lui, un prete buono e innocente.
Padre James, evidentemente turbato dalla notizia, decide comunque di restare in paese e passare quella che potrebbe essere la sua ultima settimana di vita come in un conto alla rovescia, riflettendo sul suo ruolo e cercando di capire cosa si accinga a lasciare nei suoi fedeli e in una figlia (Kelly Reilly) avuta diversi anni prima di diventare sacerdote e persa di vista ormai da troppi anni.
Comincia così Calvario, quasi come un giallo.
Un giallo il cui risolutore (Padre James) conosce il nome del suo carnefice fin dall’inizio, prima ancora che questo compia il suo delitto. Lo spettatore invece no, ma è ben presto chiaro a chiunque come il senso del film sia sì una ricerca, ma non quella dell’assassino.
Ciò che il protagonista cerca davvero è una traccia di grazia o di bellezza tra le macerie di un microcosmo umano allo sbando che ben presto diventa metafora di un quadro molto più ampio e complesso.
Il surreale bestiario umano della Contea di Sligo, composto da una serie di personaggi rozzi e arroganti in maniera volutamente caricata, è inframezzato dai magnifici scorci di un’Irlanda ancora rurale, quasi del tutto priva di qualsiasi richiamo alla modernità.Il risultato è che Padre James, circondato da un ambiente così desolato, ci appare ancora più irrimediabilmente solo.
Calvario è un’opera contraddistinta da un impianto etico rigorosissimo e che, ben lungi dall’arroccarsi su una posizione di accusa unidirezionale (e quindi sterile) verso una Chiesa, quella irlandese, ormai da anni sotto accusa per aver coperto numerosi episodi di molestie, si limita a prendere semplicemente atto di certe sue sempre più evidenti derive.
L’agnello sacrificale è questo prete dal passato oscuro chiamato a portare il peso di colpe altrui in una sorta di intima Via Crucis priva di qualsivoglia velleità evangelizzanti.
Brendan Gleeson (qui alla sua seconda collaborazione con John Michael McDonagh dopo Un poliziotto da Happy Hour) è immenso in una performance che riesce ad ingabbiare la sua imponente fisicità per dare maggiore spazio ai mezzi toni espressivi e a un volto in cui riesce a far convivere rabbia e dignità in egual misura, come se fosse la cosa più facile del mondo.
L’interpretazione di Gleeson è però soltanto il primo dei diversi meriti di questo pregevole film.
Incorniciato infatti dalla magnifica e gelida fotografia di Larry Smith (direttore della fotografia di Eyes Wide Shut e di quasi tutti i film di Nicolas Winding Refn) e diretto da un regista che costruisce le inquadrature quasi come fossero tele di un pittore, Calvario è il film che andrebbe visto da chiunque esiga dal cinema non tanto una serie di risposte univoche, quanto dei ragionevoli dubbi sui quali continuare a riflettere anche a fine visione, una volta tornato a casa.
Voto 7
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