Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Accidental Love è l’equivalente cinematografico della Salerno-Reggio Calabria: funestato da tempi di lavorazione sproporzionati, gremito di malcapitati dallo sguardo spaesato e con il desiderio insopprimibile di essere altrove, disconosciuto senza rimpianti dal proprio artefice, assemblato loscamente e scriteriatamente da fantomatiche terze parti senza nome, il progetto abortito nel 2010 da David O. Russell dopo due anni di singhiozzo produttivo trova malamente la via della distribuzione, liquidato senza troppi complimenti sulle piattaforme on-demand in patria e degnato di regolare uscita in sala solamente in una mezza dozzina di Paesi della periferia del pianeta chiaramente a corto di idee per il calendario estivo.
Ridefinizione stessa del concetto di “fondo di magazzino”, meriterebbe la medesima considerazione di una qualsiasi cialtronata a firma John Waters o di un episodio tardivo della ingrigita filmografia dei Farrelly, se non fosse per quel retroscena realizzativo da incubo che corrobora l’idea di un establishment hollywoodiano pronto a qualunque ingerenza pur di garantire il prodotto finale indipendentemente dalla sua accettabilità, tanto da rendere necessario il ricorso a un nom de plume dietro cui celare l’identità dell’imbarazzato regista. Più che un film vero e proprio, Accidental Love è una res derelicta da 25 milioni di dollari di budget, una penosa accozzaglia di rimanenze e di fegatelli capace di evocare lo spirito del già incorporeo Alan Smithee, pseudonimo collettivo che fino alla fine del secolo scorso assicurò il semianonimato a decine di autori insoddisfatti della loro creatura.
Se quindi la forma compromessa del risultato, fra raccordi incoerenti e approssimativi, tagli bruschi e cambi di registro involontariamente dissennati, impedisce di qualificare artisticamente il tutto, c’è da dire che i presupposti lasciavano presagire ben poco di buono. Ancora lontanissimo dalla furbizia da campione del botteghino e dall’innegabile mestiere acquisito di oggi, il Russell del 2008 vantava un percorso improntato principalmente alla commedia disfunzionale estranea al circuito mainstream, dalla rom-com incestuosa Spanking the Monkey al road-movie depresso Amori e disastri, fino all’incidente di I ? Huckabees, variazione sul suo canone idiosincratico e schizzato in formato indie di lusso di cui Accidental Love rappresenta l’immediata, ingovernabile “evoluzione”.
Uscendo soltanto adesso, alla luce di una produzione (esageratamente) beatificata dall’Academy, questa sgangherata satira del sistema sanitario statunitense, oltre a suonare clamorosamente anacronistica dopo l’entrata in vigore dell’Obamacare, nonché a tratti incomprensibile a uno spettatore non autoctono, servirebbe soprattutto a ricordare a tutte le personalità coinvolte nell’operazione, diventate nel frattempo membri acclarati dello star system, quanto la loro carriera sia stata vicina al naufragio e quanto essa abbia tratto beneficio dall’oblio riservato al film, un umiliante coacervo di comicità di grana grossissima e di derivazione prettamente scatologica, fra gli exploit erotici di un’ingenua cameriera dell’Indiana (Jessica Biel) resa instabile da un chiodo conficcatolesi in testa, le finissime gag corporali affidate ai suoi compagni di avventura, un ex-reverendo priapitico (Kurt Fuller) in costante stato di erezione e il suo amico parolacciaro (il Tracy Morgan di 30 Rock) affetto da prolasso rettale e stoccate politiche fuori tempo massimo – sceneggia la figlia di Al Gore, che adatta un proprio romanzo – e di gusto atroce, come la scena di sesso negli uffici del Campidoglio che culmina con i ritratti di Kennedy e di Clinton strappati nella foga del momento ad altezza, indovinate quale, o la morte per soffocamento del Presidente della Camera (James Brolin), non prima di un’improvvida manovra di Heimlich a opera di indovinate chi.
A uscirne peggio di tutti, però, è il povero Jake Gyllenhall, ridotto a isterico, strabuzzante epigono demenzial-porcellone del Mr. Smith di Frank Capra, ma anche prefigurazione di quel carattere inquieto ed esagitato che avrebbe contraddistinto la galleria dei personaggi di Russell da The Fighter in poi, fulcro di un cast evidentemente lasciato a se stesso in un delirio slapstick fuori controllo.
Negatagli ogni valenza strettamente filmica, dunque, Accidental Love è altresì la fotografia ideale della perversione del meccanismo distributivo, il figlio malformato e involuto di un apparato abbandonato alle logiche del mercato che andrebbe visto anche solo per rendersi conto del lato mostruoso del cinema come industria, insomma, il nuovo punto di riferimento verso il basso di ciò in cui esso può trascendere se messo nelle mani sbagliate.
Voto 1
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