Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Sin dai suoi esordi, il cinema di Noah Baumbach ha rivolto il suo sguardo verso quello spazio, inesplorato dalla maggior parte dei cineasti, che intercorre tra ciò che si vorrebbe realizzare e la realtà che la vita, invece, riserva. Da acuto e fine cesellatore di personaggi che sembrano non poter far altro se non seguire il proprio istinto, spinti solo dal desiderio di trovare un posto nel mondo, il regista newyorkese confeziona i suoi “eroi” come eterni adolescenti (al di là dell’età anagrafica) soggiogati da ansie borghesi, che si servono della cultura per crearsi quell’identità che tanto vanno cercando. Caratterizzati da una forma di movimento apparente (la Frances Ha di Greta Gerwig ne è l’esempio più lampante) che in realtà non li conduce da nessuna parte, iniziano a muoversi davvero solo in seguito al manifestarsi di un “elemento novità”, che arriva senza bussare e fagocita tutto, stravolgendo le loro esistenze.
Accade così anche in Giovani si diventa, storia di due coppie: quella composta dai quarantenni Josh e Cornelia (Ben Stiller e Naomi Watts), dipendenti dalla tecnologia e ancora non pronti a vivere una vita da adulti e quella formata dai venticinquenni Jamie e Darby (Adam Driver e Amanda Seyfried), giovani hipster intellettuali che girano per New York in bici, guardano i film in Vhs e si professano pieni di nostalgia nei confronti del tempo analogico che fu. E’ l’incontro-scontro tra le due coppie a generare l’elemento novità di cui sopra, e coglierà soprattutto Josh, Cornelia e il loro essere over quaranta e senza figli, a disagio in una società che richiede loro un certo atteggiamento e alla quale non sentono di appartenere.
I quattro personaggi, hanno tutti delle fragilità piuttosto spiccate ed evidenti che li rende tanto interessanti quanto irrisolti, ma la macchina da presa di Baumbach questa volta sembra voler concedere qualcosa in più ai due personaggi maschili, il documentarista frustrato che lavora a un progetto da anni senza vederne la fine Stiller e l’aspirante regista Driver, istintivo manipolatore di influenze e di persone. Se a guidare il primo sono le leggi morali applicate sin troppo alla lettera dietro le quali è anche facile nascondere una mancata disinvoltura lavorativa, ad accompagnare il secondo ci pensano la serenità nell’affrontare il mondo e una quasi totale mancanza di un codice etico di riferimento.
Ci sono Truffaut, Rohmer e Bergman in questo Giovani si diventa, insieme a tanto Woody Allen,(innumerevoli i rimandi a Crimini e misfatti, dal documentario infinito all’affermazione della superficialità e del vanesio sulla moralità) e la curiosità da parte del re delle commedie intimiste Baumbach, di scavare a fondo e con una punta di compassione nelle insicurezze di una generazione in transito che non è più giovane, ma ha il disperato bisogno di sentirsi tale e che stenta a trovare una collocazione nel mondo che le permetta di fortificarsi e di trovare una propria identità sociale.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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