Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Arnold is back, è vero, ma non aspettatevi troppo. Con l’intento di far ripartire la saga di Terminator, ideata negli anni Ottanta da un giovane James Cameron, arriva nelle sale il reboot da 155 milioni di dollari, primo di una nuova trilogia che intreccia gli eventi dei primi due capitoli cinematografici (quelli belli, per intenderci, lasciando indietro, giustamente, Terminator 3 e Salvation). Terminator: Genisys, il primo della saga girato in digitale (e in un prescindibilissimo 3D) inizia nel futuro, nel 2029, quando il capo della resistenza umana contro le macchine John Connor sta conducendo l’offensiva verso una delle basi principali di Skynet, la rete senziente che governa i robot e vuole distruggere l’uomo. L’intenzione è quella di appropriarsi della tecnologia del salto temporale per poter mandare nel passato il suo fidato luogotenente Kyle Reese, così da poter salvare la vita di Sarah Connor e garantire la propria esistenza nel futuro. Ma all’improvviso, durante il salto temporale, qualcuno aggredisce John alle spalle, cambiando, inevitabilmente, gli avvenimenti della linea temporale canonica. Reese si ritroverà quindi in una linea temporale alternativa (qui inizia lo stravolgimento narrativo di cui il trailer ci aveva informato sin troppo), scoprendo che il passato non è affatto come se lo aspettava.
Questa quinta avventura orchestrata tra il 2029, il 1984, il 1997 e il 2017, diciamolo subito, fa acqua da tutte le parti. Apprezziamo gli sforzi di Alan Taylor (Thor: The Dark World) nel voler conferire alle immagini quella grandiosità e al racconto quell’epicità dei primi due film della saga originale, ma il risultato è appena godibile e, tolto uno Schwarzenegger particolarmente ironico che torna nei panni del T-800, la nostalgia nei confronti di quei personaggi massicci e ben delineati dei capitoli primigeni non tarda a farsi sentire.
A fronte di uno spunto interessante (l’escamotage trovato per ricollegarsi alla linea narrativa principale eliminando i rimandi al terzo e al quarto film, sulla carta era ottima per creare qualcosa di nuovo senza al contempo stravolgere troppo), la storia si dipana in modo confuso e lo spettatore viene sballottato tra le varie timeline e aggiornato su quanto non viene mostrato da ponderosi spiegoni.
E poi c’è il cast, con Emilia Clarke, la fulgida “regina dei draghi” di Games of Thrones che ha ereditato il ruolo di Linda Hamilton (ma per piacere!) e l’Insurgent Jay Courtney quello di Michael Biehn, (un Kyle Rees dall’espressività non pervenuta) mentre i chip “liquidi” del temibile T-1000 hanno il volto del coreano Lee Byung-hun che ha sostituito, si fa per dire, il veterano Robert Patrick. Ma giocare sui ricordi dei fan della saga originale, scopiazzando senza alcun impedimento le scene più iconiche, non è sufficiente a far sì che Terminator: Genisys si tenga in piedi sulle proprie gambe (non fa, in sostanza, quello che invece era riuscito allo Star Trek di Abrams). Tutto rimanda ai film di Cameron e i nuovi elementi seminati da Alan Taylor non arrivano a scalfire neanche per sbaglio quelli entrati nell’immaginario collettivo degli spettatori, ormai trentuno anni fa. Non rimane che attendere il 2019, anno in cui James Cameron tornerà in possesso dei diritti della sua creatura (la legge sul copyright nel Nord America prevede il ritorno dei diritti all’autore originale dopo 35 anni dal primo episodio), sperando che decida di riprendere in mano la situazione.
Voto 4,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Il primo capitolo del reboot della saga ideata da James Cameron è un’action-comedy che snatura i toni e cade vittima degli spiegoni.
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