8 buone ragioni per non perdersi la 72° Mostra del Cinema di Venezia

Di Andrea Bosco
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1) Seppur lontana dalla ricerca pura di Locarno e minacciata dal gigantismo di Toronto, Venezia offre ancora una volta una selezione eterogenea capace di inglobare linguaggi disparati e variegati, scontentando forse chi è alla ricerca dei grossi nomi (le plausibili promesse di Del Toro, Scott e Iñárritu), ma soddisfacendo i pruriti di chi confida ancora in un cinema “altro”. Ne sono testimonianza soprattutto Heart of a Dog, raro excursus su grande schermo e avanguardistico saggio sull’elaborazione del lutto firmato dalla cantautrice e performer Laurie Anderson, l’inatteso ritorno alla regia del cervellotico sceneggiatore Charlie Kaufman, che si cimenta con l’animazione in stop-motion di Anomalisa, e una nuova affermazione nel circuito maggiore, dopo il successo di Sacro GRA e di The Look of Silence, del codice non-fiction con il documentarista cinese Zhao Liang e il suo Behemoth;

Sangue del mio sangue

Sangue del mio sangue

2) Salvo rare eccezioni – il Dolan di Tom à la ferme, l’Iñárritu di Birdman o il Larraín di Post mortem – è difficile che approdino al Lido nomi già storicamente associati alla Croisette o al Filmpalast e non resta altro che circondarsi della solita “cricca” di fedelissimi. Se quest’ultima, tuttavia, può annoverare nomi come Amos Gitai, che sigla l’ambiziosissimo Rabin, the last day e che approda per il quarto anno consecutivo in Laguna dopo gli eccellenti Lullaby to my father, Ana Arabia e Tsili, Jerzy Skolimowski, in cerca di riscatto con il thriller 11 minuti dopo il Leone mancato di Essential Killing (Premio Speciale della Giuria e Coppa Volpi a Venezia67), o il ritrovato Marco Bellocchio, col capo leggermente cosparso di cenere dopo l’annunciato addio alla Mostra successivo alla disfatta del suo Bella addormentata e oggi a capo della nutrita schiera tricolore con Sangue del mio sangue, tutto sommato c’è poco da lamentarsi;



3) Grazie anche a una giuria insolitamente illuminata, Aleksandr Sokurov non ebbe la minima difficoltà, nonostante una concorrenza feroce, a imporsi sul resto della selezione di Venezia68 con il suo Faust: manifestamente una spanna sopra la quasi totalità dei suoi contemporanei, il regista russo ritorna con l’attesissimo Francofonia, seguito morale del suo Arca russa, con il Louvre sotto l’occupazione nazista a sostituire l’Ermitage ottocentesco. Se persino un semplice, dispersivo mestierante come Ang Lee fu in grado di aggiudicarsi due immeritati Leoni d’Oro consecutivi (prima con Brokeback Mountain, poi con Lussuria) e se è vero che i cavalli vincenti si riconoscono alla partenza, che difficoltà dovrebbe avere uno dei maggiori cineasti in attività a fare il bis?

In Jackson Heights

In Jackson Heights

4) Oltre Concorso, più che Fuori: l’ottantacinquenne Frederick Wiseman è ormai da un lustro, se si eccettua il “tradimento” cannense dell’ultimo National Gallery, garanzia e prerogativa della Mostra di Venezia (si ricorda in particolare il monumentale At Berkeley). Quello fra il padre indiscusso del documentario moderno e il Festival cinematografico più antico del mondo è un sodalizio prezioso, cementato dal sacrosanto Premio alla Carriera tributatogli lo scorso anno e ribadito dall’arrivo del suo colossale In Jackson Heights, nuova fluviale dimostrazione del suo sguardo clinico ed enciclopedico;

L'attesa

5) Dal Kaan Mujdeci del Premio Speciale Sivas alla Rama Burshtein della Coppa Volpi La sposa promessa, dal trionfo a mani basse del Samuel Maoz di Lebanon ai nostri apprezzatissimi Emma Dante e Ascanio Celestini, l’inclusione diretta in Concorso di autori per la prima volta alle prese con un lungometraggio può suonare come un investimento ad alto rischio, ma la giusta gavetta, come dimostra l’apprendistato dell’ungherese László Nemes presso il maestro Béla Tarr risoltosi con la vittoria sfiorata a Cannes del suo debutto Son of Saul, può rappresentare un ottimo biglietto da visita. E’ il caso del nostro Piero Messina, assistente alla regia di Paolo Sorrentino e oggi solo al comando del suo L’attesa, benedetto nientemeno che dalla presenza di Juliette Binoche, e del venezuelano Lorenzo Vigas, “figlioccio” dello sceneggiatore Guillermo Arriaga che esordisce con Desde allá, impreziosito dalla presenza del mostruoso Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larraín;

A Bigger Splash

A Bigger Splash

6) A completare la rappresentanza italiana, due nomi diametralmente opposti che faranno discutere: da una parte Luca Guadagnino, tanto spernacchiato in patria dai tempi del suo Melissa P. quanto blasonato all’estero per il suo Io sono l’amore, che cerca il definitivo lancio internazionale con A Bigger Splash, patrocinato da un altisonante cast anglofono che annovera la fedele Tilda Swinton, Ralph Fiennes, la Dakota Johnson di Cinquanta sfumature in grigio, ma anche la partecipazione straniante di Corrado Guzzanti. Dall’altra, l’insperata risurrezione di Giuseppe M. Gaudino, che dopo un quindicennio di periferia documentaristica si riaffaccia alla fiction con Per amor vostro, con la speranza di ritornare alla forma di quel capolavoro misconosciuto e alieno della produzione nostrana che fu Giro di lune tra terra e mare.
A fare da inestimabile corollario, Fuori Concorso, la presenza dei doc Gli uomini di questa città io non li conosco, ritratto del drammaturgo Franco Scaldati diretto da Franco Maresco dopo il tripudio di Belluscone. Una storia siciliana, e L’esercito più piccolo del mondo di Gianfranco Pannone;

The Danish Girl

The Danish Girl

7) Per i palati meno festivalieri e più mondani, dovrebbero bastare la partecipazione del Tom Hooper de Il discorso del re e dell’appena completato The Danish Girl, con un Eddie Redmayne en travesti pronto ad accaparrarsi programmaticamente il secondo Oscar consecutivo, dello Scott Cooper di Black Mass, che servirà a stuoli di ammiratrici bercianti la presenza in passerella di una coppia di divi pop come Johnny Depp Benedict Cumberbatch, e del Baltasar Kormákur di Everest, blockbuster catastrofico travestito da film d’apertura che, se non altro, può contare su una foltissima delegazione hollywoodiana, da Jake Gyllenhall a Keira Knightley, da Josh Brolin a Robin Wright. Mentre gli orfani di Twilight potranno consolarsi rispettivamente con The Childhood of a Leader, adattamento dell’omonimo racconto di Jean-Paul Sartre con Robert Pattinson sugli scudi, e, per i fan di Kristen Stewart, con la love-story fantascientifica Equals.

James Franco

8 ) Almeno quest’anno non c’è James Franco.

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