Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
– Tu sarai al centro della più grande scoperta scientifica della storia dell’uomo.
– Se hai davvero creato una macchina cosciente non stiamo parlando della storia dell’uomo, ma di quella degli dei.
Il programmatore di computer Caleb (Domnhall Gleeson) vince il primo premio in una lotteria aziendale e si aggiudica la possibilità di passare un’intera settimana nell’enorme e ipertecnologico laboratorio/residenza di Nathan (Oscar Isaacs) il geniale fondatore della società per cui lavora.
Una volta arrivato a destinazione, Caleb apprende che la sua presenza lì non è frutto del caso ma di una ben precisa scelta che lo vuole come parte di un esperimento atto a testare il risultato di una serie di esperimenti sull’intelligenza artificiale che Nathan porta avanti in segreto da anni.
Il modello con cui Caleb deve relazionarsi si chiama Ava e ha, in tutto e per tutto, le fattezza di una donna (nello specifico quelle di Alicia Vikander) oltre che un’apparente piena consapevolezza di sé.
Il ragazzo, sulle prime entusiasta delle straordinarie possibilità che quell’esperienza potrebbe offrirgli, realizza ben presto come in quel luogo non tutto sia come appare e anche l’iniziale giovialità di Nathan celi in realtà alcune inquietanti e inconfessabili verità.
Alex Garland, sceneggiatore di fiducia di Danny Boyle (suoi gli script di The Beach, 28 giorni dopo e Sunshine) esordisce nella regia con questo notevolissimo film a tema ‘intelligenza artificiale’ focalizzando l’interesse sui limiti oltre i quali non ci si dovrebbe mai spingere in nome della scienza.
L’intuizione più riuscita dell’autore, in tal senso, è nell’approcciare un argomento per molti versi anche abusato, costruendo un film assolutamente classico in termini di sostanza narrativa, abilmente mascherato però da opera di pura science fiction.
Una volta spogliato della sua componente più squisitamente transumanista, infatti, ciò che resta di Ex Machina è un apologo nerissimo (con un finale di nichilismo unico di cui ovviamente non faremo parola) sui possibili rischi che l’uomo corre quando gioca, letteralmente, a “fare Dio”.
Le suggestioni utilizzate per rendere l’opera quanto più possibile inquietante e claustrofobica sono disparate e vanno dal mito del Golem riletto in chiave futurista a L’isola del Dottor Moreau di wellsiana memoria, passando per Apocalypse Now, da cui viene chiaramente mutuata la netta contrapposizione tra la fiducia mal riposta del giovane neofita e la follia isolazionista di un moderno Kurtz reso folle dalle proprie manie di onnipotenza.
Dicevamo poc’anzi del classicismo che contraddistingue il film e, a tale riguardo, appare evidente fin dall’inizio come questo sia costruito più sulla parola che non sugli effetti speciali e strutturato sostanzialmente come un’opera da camera o, se vogliamo, una pièce teatrale.
Delle doti di Garland come romanziere e sceneggiatore sapevamo già da tempo per cui a stupire, in Ex Machina, è soprattutto la perizia con cui il neoregista mette in scena questo sottile gioco al massacro polanskiano, minimale ma mai in alcun modo povero.
Stupisce anche in virtù della paura che lo scrittore, nel passaggio dalla parola scritta alle immagini in movimento, potesse trovare in qualche modo ispirazione nel gusto per la piacioneria e nello stile trendy e votato al facile effetto dell’amico e sodale Danny Boyle.
Niente di più lontano dalla realtà per fortuna.
Anche quando sullo schermo si fa strada la possibilità di una svolta romantica tra Caleb e Ava, l’escamotage viene sfruttato nel migliore dei modi possibili senza che l’intero film rischi una deriva emozionale assolutamente non richiesta.
Coltissimo nei dialoghi e dotato di un andamento sinuoso capace di avviluppare lo spettatore, senza che questo nemmeno se ne accorga, in una spirale di cupo pessimismo, Ex Machina riprende i temi cari alla migliore fiction distopica di taglio moderno (la serie TV Black Mirror in primis) portandoli su un nuovo e più sofisticato livello, in cui la riflessione sulla tecnologia è finalmente scevra da qualsiasi dicotomia residua tra apocalittici e integrati.
Completa il quadro un cast molto ben assortito che vede, accanto al lanciatissimo Domnhall Gleeson (presto accanto a Di Caprio nell’atteso The Revenant di Alejandro González Iñárritu) e Oscar Isaac, anche il fresco talento di Alicia Vikander, finora nota per lo più come compagna di Michael Fassbender e a settembre nelle sale con il nuovo film di Guy Ritchie, Operazione U.N.C.L.E..
Spiace semmai che le cieche politiche distributive italiane abbiano pensato bene di relegare un film così poco estivo nella sua complessità tematica tra le randomiche – e spesso del tutto prive di senso – uscite di fine luglio.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
La fantascienza minimal di Alex Garland funziona: tre attori, una casa e mille suggestioni.
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