Minions

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I Minions esistono fin dall’alba dei tempi e hanno un solo e unico scopo: trovare un padrone quanto più cattivo possibile e servirlo.
Peccato però che tutti i loro goffi tentativi di aiutare questi spregevoli figuri si risolvano sistematicamente con l’involontaria eliminazione degli stessi.
I Minions ci riescono a causare la morte, nell’ordine, di un T-Rex, di un Faraone egizio, di Napoleone e addirittura dell’immortale principe delle tenebre, Dracula.
Fino al giorno in cui, rimasti senza nessun cattivo da seguire, i teneri omini gialli piombano in una spirale di profonda depressione.
Un terzetto formato dal temerario Kevin, il ribelle Stuart e dal piccolo Bob, decide quindi di mettersi in viaggio alla ricerca di nuovi potenziali padroni che salvino i Minions da una sicura estinzione.
I tre giungono nella Swinging London di fine anni Sessanta dove si ritrovano ad aiutare (o almeno a provarci) la mefistofelica supercriminale Scarlet Overkill (doppiata da Sandra Bullock nella versione originale e, qui in Italia, da Luciana Littizzetto)  nel suo folle piano per impossessarsi della Corona d’Inghilterra.



Sulla possibilità che i Minions, prima o poi, avrebbero avuto un film interamente dedicato a loro esistevano ben pochi dubbi.
Dotati di una componente iconica irresistibile – soprattutto in termini di merchandising – questi adorabili esserini gialli non potevano restare relegati ancora a lungo al ruolo di semplici spalle di Gru nei due Cattivissimo me ed eccoli dunque diventare protagonisti assoluti di un film che ha la sua prima particolarità nel suo essere sia spin-off che prequel delle due pellicole precedenti.
Reclamata a gran voce dai loro numerosissimi (e, in alcuni casi, insospettabili) fan, l’operazione, sebbene auspicabile, non era però priva di insidie.
Innanzitutto perché i Minions, non parlando una vera e propria lingua ma un linguaggio tutto loro (un folle mix di inglese, spagnolo e italiano), di fatto, rendono il film molto poco parlato.
Ciò che rendeva però più rischioso il loro passaggio da dolcissimi gregari a protagonisti era la possibilità che dei personaggi che hanno nel nonsense più totale la loro ragion d’essere, molto spesso declinata in gag esilaranti ma brevi, potessero non riuscire a tenere alta la soglia dell’attenzione per l’intera durata di un lungometraggio.
Tale rischio viene affrontato di petto e brillantemente superato da Brian Lynch (sceneggiatore non nuovo a operazioni del genere, essendosi già cimentato nello spin-off de Il gatto con gli stivali, nato da una costola di Shrek) prima con un’esilarante introduzione diacronica che ci mostra i Minions attraversare, nel modo goffo che li contraddistingue, i vari stadi dell’evoluzione e poi con una linea narrativa minimale, anche se calibratissima nel dispensare risate e citazioni a profusione.
Praticamente una manna per i bimbi.
E non solo.

Per quanto infatti, a un primo sguardo, l’infinita naïveté dei Minions possa far pensare a un tentativo di invertire la tendenza, dominante nell’animazione moderna, che vede la maggior parte dei film indirizzati a un pubblico composto in egual misura da grandi e piccini (basti pensare a capolavori come Wall-E o Up ma anche al notevole e più recente Big Hero 6) è sufficiente scavare solo un po’ sotto la coloratissima superficie del film per trovarci una perfetta rappresentazione di una realtà ben più adulta.
Una realtà in cui una massa indistinta di omini, quasi identici tra loro, vive affannandosi alla ricerca di un leader, preferibilmente infame, da servire e riverire.
Il trait d’union che lega ogni Minion all’altro risiede infatti nella totale assenza di qualcosa che assomigli anche solo alla lontana ad una struttura morale e di strumenti utili alla comprensione del reale.
L’unica cosa che conta, ai fini del loro benessere, è avere un capo a cui obbedire, in assenza del quale è il senso stesso della vita a venire a cadere.
Ecco che, una volta letto in questo modo, Minions appare per ciò che è realmente: una riflessione lucidissima e, per molti versi, vicina a quanto fatto da Phil Lord e Chris Miller in The Lego Movie sulle dinamiche di potere basate sulla più classica delle strutture piramidali.
Non è un caso che, alla fine, questi omini all’apparenza così teneri e inoffensivi riescano a sovvertire il diabolico piano del cattivo di turno in maniera del tutto inconsapevole, soltanto grazie alla forza dei grandi numeri.
No, non credo affatto sia un caso.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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