Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Alfredo (Antonio Catania) e Susanna (Monica Guerritore) sono una coppia di cinquantenni dall’aria giovanile.
Colti, agiati e di ampie vedute, i due vivono a Roma ma trascorrono l’estate nella loro casa di campagna all’interno di una tenuta privata.
Un giorno Susanna, di ritorno dal paese vicino, resta turbata alla vista di una giovane prostituta umiliata e picchiata da un uomo sul ciglio di una stradina che porta alla statale.
Alla donna basta un attimo per capire che non può girarsi dall’altra parte e fare finta di nulla. Dopo averne discusso con Alfredo, Susanna decide di accogliere in casa Nadia – questo il nome della ragazza – per tentare di salvarla dalla strada.
Inizialmente la convivenza scorre serena, con Susanna pienamente compiaciuta del suo ruolo di eroina, ma tutto cambia con l’arrivo in villa del figlio Giulio (Elio Germano) con viziatissima fidanzatina al seguito.
A quel punto gli equilibri saltano e il progressismo radical chic ostentato fino a quel momento dalla donna inizia a vacillare, soppiantato ben presto da un geloso attaccamento a una serie di privilegi che considera suoi di diritto e che non ha alcuna intenzione di condividere con quella che, alla fine dei giochi, resta pur sempre una “puttana dell’Est”.
Il motivo per cui La bella gente abbia dovuto aspettare sei anni per trovare la via delle sale, rimarrà uno dei tanti misteri della distribuzione italiana, ma la sua uscita dal dimenticatoio, seppure tardiva, merita comunque un plauso.
Perché si tratta di un film notevolissimo, sia da un punto di vista squisitamente stilistico che testuale.
Chi conosce De Matteo per i successivi Gli equilibristi e I nostri ragazzi sa quanto l’autore sia una delle figure meno allineate nel nostro panorama cinematografico, ma stupisce in ogni caso come al suo secondo film sia stato in grado di esprimere già in maniera così lucida e matura le istanze che avrebbe poi approfondito con le opere a seguire.
Stupisce innanzitutto per una regia assai abile nel nascondere i propri limiti strutturali dietro una serie di invenzioni stilistiche mai banali e, soprattutto, perfettamente funzionali al mood della storia.
Una storia che, va detto, ha il raro pregio di perturbare senza ricorrere in alcun modo al dramma, né declinato in termini strappalacrime né a tinte forti ma anzi, dando a tratti quasi l’impressione di mostrare senza raccontare nulla di che.
Lo splendido script di Valentina Ferlan (moglie di De Matteo e sceneggiatrice di tutti i suoi film) più che raccontare una vicenda, infatti, descrive un fallimento. Quello tutto italiano di una generazione che ha passato gli ultimi trent’anni a raccontarsi come qualsiasi divisione sociale fosse ormai del tutto superata e ora cerca di dissimulare il raggiungimento di uno status socioeconomico anche importante, fumando una canna dopo cena o semplicemente calzando un paio di Birkenstock.
Ne La bella gente non si salva nessuno e non c’è alcuna differenza tra la coppia progressista e solo apparentemente open-minded dei protagonisti e i loro volgari vicini destrorsi. Ciò che cambia semmai è la sottile ipocrisia che porta Alfredo e Susanna a credere di poter salvare qualcuno solo in virtù del loro benessere acquisito, senza accorgersi minimamente di quanto ciò soddisfi un loro bisogno di redenzione piuttosto che quello, ben più materico, della povera Nadia. Quest’ultima, in un sottile ma inesorabile gioco al massacro dalle venature polanskiane, passa rapidamente dal ruolo di scheggia impazzita e causa principale della caduta delle maschere sociali della coppia a quello di vittima sacrificale, fino a un epilogo amarissimo molto simile, in termini di cinica rassegnazione, a quello di The Dreamers di Bertolucci.
Molto del merito della riuscita del film va indubbiamente ai dialoghi – quanto di più vicino alla vita reale si sia sentito negli ultimi anni in un film italiano – e a chi li abita. De Matteo ha infatti dalla sua un cast eccezionale, a partire da Antonio Catania (finalmente protagonista dopo decenni passati a recitare in ruoli di contorno) e una ritrovata Monica Guerritore fino a Elio Germano, qui impegnato in un ruolo leggermente periferico, benché primario nell’economia del film.
In definitiva è proprio da opere come La bella gente che il cinema italiano dovrebbe ripartire.
Se solo lo scarto tra anno di produzione e data di uscita del film non rendesse il condizionale già un imperfetto.
Voto 7
La sceneggiatura originale de La bella gente di Valentina Ferlan, fa parte della collana “Cinema da leggere”, edita da NED Edizioni.
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Ipocrisia, perbenismo e solidarietà mancata nell’opera seconda di Ivano De Matteo. Realizzata nel 2009, ha rischiato di non arrivare in sala.
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