Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Al grido di “Chi dei ragazzi di Magic Mike XXL vorreste trovare a casa vostra?”, “Tarzan sta venendo per voi” e “Cioccolato bianco o Magic Mike, in qualunque modo lo chiamate non perdetelo al cinema,” tornano a ballare e a spogliarsi i ragazzi di Magic Mike, nel sequel del film diretto nel 2012 da Steven Soderbergh, identificato da una XXL perché mai come in questo caso, le dimensioni contano. In realtà il gruppo di stripper che si esibiva al Xquisite è rimasto orfano di Matthew “Dallas” McCounaghey e di Alex “Kid” Pettyfer, che hanno preso altre strade, mentre Mike (Channing Tatum), dopo aver accantonato il suo passato da spogliarellista per alcuni anni, si ritrova a inseguire gli altri “Re di Tampa” in quello che sarà il loro ultimo, incandescente spettacolo a Myrtle Beach. Durante il viaggio che, passando per Jacksonville e Savannah li porterà sul palco della loro più attesa esibizione, troveranno donne di ogni sorta: una giovane fotografa che non sorride mai (Amber Heard) un club di signore âgé e benestanti capitanate da Andie McDowell e una MC (Jada Pinkett-Smith), vecchia fiamma di Mike, che li accompagnerà al loro show finale.
Soderbergh ha passato il testimone al suo aiuto Gregory Jacobs, qui al suo esordio, mentre il regista di Traffic e Dietro i candelabri si è occupato di fotografia e montaggio, ma il cambio di mano risulta piuttosto evidente. Perché se da un lato questo Magic Mike XXL ha come punto di forza quello di essere un prodotto schietto, che va dritto al punto senza promettere altro se non puro intrattenimento, dall’altro è anche vero che risulta molto più scarno rispetto al primo capitolo. La pellicola del 2012 aveva un gran merito, quello di aver sancito il passaggio tra lo spogliarello cinematografico maschile buffo e divertente à la Full Monty a quello strettamente erotico, che fino a quel momento era appannaggio solo del gentil sesso (pensate a Showgirls di Paul Verhoeven o a Striptease di Andrew Bergman, curiosamente usciti a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro e che hanno fatto incetta di Razzie Awards). Se quindi il primo film ha rappresentato un tassello decisivo nel processo di accettazione da parte dell’opinione pubblica del nudo maschile fine a se stesso, con il solo scopo di essere mostrato, in questo XXL tutto questo decade, ormai sdoganato, in favore di numeri di breakdance, coreografie à la Village People e strofinamenti vari ad opera di ragazzoni depilati e dall’addome tartarugato.
Convinti del fatto che il loro lavoro non disti molto da quello di un guaritore, per il senso di responsabilità di cui si fanno portatori nei confronti delle “signore” che partecipano alle loro esibizioni per sfuggire a una realtà evidentemente monotona, grigia e non appagante, Mike & Co. hanno un unico padrone, le donne che partecipano ai loro show. Sono tante, un’infinità, e mettono quasi paura. All’ingresso dei club cambiano i pezzi da cento con bigliettoni da un dollaro che lanciano e infilano nei tanga paillettati dello stripper di turno che, per ricambiare, ne afferra una a caso e accompagna la sua libido a fare un giro sulle montagne russe.
Concepito per un pubblico prettamente femminile, Magic Mike XXL non nasconde una vistosa strizzatina d’occhio agli universi queer e gay, tanto per non scontentare nessuno. Ma, senza voler filosofeggiare troppo su un film che, in modo piuttosto onesto, si presenta al pubblico esattamente per ciò che, bisogna però dire che la magia di Mike e dei suoi colleghi, questa volta ha perso mordente perché ora il punto di forza che aveva sancito il successo del primo film, un tema tanto centrale quanto ricorrente in molto cinema yankee, l’American Dream, decade miseramente. Mancando lo spirito di sacrificio che animava il Mike di Soderbergh, che considerava il lavoro da stripper come un momento di transizione, un mezzo per potersi permettere un avvenire diverso, viene meno tutto quel substrato di sofferenza e di privazione che rappresentava il fulcro narrativo e motivazionale della prima storia. Ma che importa, in fondo rimangono i numeri, gli spogliarelli e la musica. Chi lo andrà a vedere? Probabilmente le signore che hanno letto, apprezzato e visto la Sfumature di grigio.
Voto 5
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