Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un gruppo di studenti ambientalisti lascia New York per raggiungere l’Amazzonia peruviana, con la speranza di salvare dall’estinzione una tribù locale e bloccare la distruzione di una parte della foresta amazzonica, minacciata dall’arrivo delle ruspe e dei fucili dei signori della guerra al soldo delle multinazionali.
Gli attivisti sono pacifici e, col solo uso dei loro telefonini, puntano a smascherare pubblicamente le illegalità in atto, mettendo in streaming le riprese video del disboscamento.
Sulla via del ritorno, un incidente aereo li costringe a un’inaspettata permanenza in quel territorio inospitale, alla mercé proprio di quella popolazione indigena che credevano di aiutare e da cui invece dovranno cercare di difendersi.
A ben due anni dalla sua presentazione al Festival Internazionale del Film di Roma (all’epoca non era ancora una Festa) arriva finalmente in sala il penultimo film di Eli Roth. Penultimo perché, nel frattempo, l’autore ne ha già girato un altro, Knock Knock, presentato lo scorso gennaio al Sundance e in uscita il mese prossimo.
Questa volta non è però una svista della distribuzione italiana ad aver congelato il titolo per un tempo che, almeno in termini cinematografici, equivale a un’era geologica, tanto è vero che qui da noi The Green Inferno esce addirittura prima che negli States.
Detto delle vicissitudini produttive, passiamo a parlare di un film importante su più di un livello.
Innanzitutto perché segna il ritorno di Roth alla regia, dopo uno iato lungo cinque anni seguito a Hostel 2.E poi perché si tratta, senza mezzi termini, di uno dei migliori horror visti negli ultimi anni.
Un film in cui l’autore va ben oltre la semplice rilettura di un sottogenere (il cosiddetto cannibal movie) che, dopo i fasti di fine anni Settanta, aveva fatto perdere ogni traccia di sé, investito dall’onda lunga di uno tsunami che in realtà travolse tutto il cinema italiano di genere. Perché The Green Inferno sta a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato più o meno come Bastardi senza gloria stava a Quel maledetto treno blindato. In entrambi i casi parliamo di finti remake che finiscono con il ridefinire dall’interno gli stessi generi a cui, almeno in parte, dichiarano di voler pagare pegno.
Solo che, come Tarantino, anche Eli Roth vive ogni film come un’occasione per rielaborare in toto il proprio cinema passato.
Se infatti la struttura narrativa (ragazzi lontani da casa presi e torturati da terzi) e il citazionismo di fondo sembrano, all’apparenza, richiamare i precedenti lavori del regista, ecco che ad uno sguardo più acuto appare chiaro come la posta in gioco qui sia ben più alta. Mentre assolve la funzione perturbante a cui qualsiasi horror è destinato, The Green Inferno mostra la sua vera natura di film profondamente politico, ragionando in maniera lucidissima su temi importanti come l’ambientalismo, di cui critica aspramente la natura superficiale e trendy di certe derive social, e lo scontro tra culture agli antipodi, sia geograficamente che da un punto di vista evolutivo e sociale.
Da questo punto di vista, più che al filone strettamente cannibalico, Roth sembra guardare a certe istanze care a Herzog, non solo per quanto riguarda la brutalità ancestrale di certe pratiche tribali, ma anche in termini stilistici, non lasciandosi in alcun modo tentare dal cotè documentaristico della pellicola di Deodato.
In mezzo a tutto questo, poi, urla, evisceramenti e l’orgia di sangue che è tutto sommato lecito aspettarsi dall’autore e che, nel bene e nel male, ha settato le coordinate del moderno torture porn.
Sebbene leggermente meno sadico verso lo spettatore rispetto a entrambi gli Hostel, The Green Inferno, che qui da noi è stato vietato ai minori di 18 anni, garantisce comunque un paio d’ore di sano spavento e due o tre momenti in cui risulta davvero difficile riuscire a non coprirsi gli occhi.
Roba da far impallidire buona parte dei sedicenti film di paura che puntualmente finiscono col disattendere le aspettative degli amanti del genere.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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