Il sapore del successo

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Mentre sul piccolo schermo i palinsesti continuano a riempirsi di chef stellati, risoratori e casalinghe più o meno improvvisate che mostrano a un pubblico in cerca di segreti da rivendersi alla prossima cena ricette di ogni livello di difficoltà, il cinema continua a cavalcarla, questa travolgente onda gastronomica che non sembra conoscere crisi. Dopotutto il cibo ha ormai smesso da tempo di essere puro e semplice nutrimento, diventando un ele­men­to fon­da­men­ta­le, identificativo del nostro way of living, con gli chef osannati come rockstar e salutati come guru, fautori del ritorno alla esperienza sensoriale primaria. E’ figlio di quella che i sociologi definiscono una delle ossessioni del millennio anche Il sapore del successo, commedia con un cast a dir poco stellare diretta da John Wells (produttore esecutivo di E.R., e regista de I segreti di Osage County), anche se è Steven Knight (che ha scritto gioielli quali Piccoli affari sporchi e La promessa dell’assassino e ha sceneggiato e diretto uno dei film più essenziali e avvincenti degli ultimi anni, Locke) a fare in modo che il film non vada a infittire le fila delle tante prescindibili kitchen comedies (da Chef a La cuoca del presidente, passando per Julie&Julia) arrivate in sala negli ultimi anni.



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Lo sceneggiatore inglese si diverte infatti a giocare con un cliché amato dal pubblico generalista, avezzo alle cucine da reality show, ma nel frattempo solletica anche lo spettatore più sofisticato attraverso dialoghi perfettamente strutturati e situazioni ben congeniate. Così utilizza una kitchen story per fare da sfondo al per­cor­so di cre­sci­ta per­so­na­le del pro­ta­go­ni­sta Adam Jones (Bradley Cooper), lo chef due stelle Mi­che­lin che no è stato in grado di gestire il successo raggiunto, facendo fallire il locale parigino in cui lavorava. Rock­star dei fornel­li con un pessimo carattere, l’ex en­fant ter­ri­ble della ri­sto­ra­zio­ne francese era diventato fa­mo­so per la con­ti­nua ­ricer­ca del bri­vi­do nella crea­zio­ne di esplo­sio­ni di gusto. Tra frenesie e malumori, Adam decide di ricominciare da zero e di aprire un ristorante a Londra, circondato da uno staff di prim’ordine da cui pretende, ça va sans dire, la perfezione, tra cui spiccano l’eccellente cuoca Helene (Sienna Miller) e il maître Tony (Daniel Brühl). L’obiettivo: ottenere la terza, agognatissima, stella Michelin.

Lo spietato cecchino di Clint Eastwood passa così dietro ai fornelli nelle vesti di un Gordon Ramsay decisamente più avvenente dell’originale, sospinto da un grande sogno di rivalsa nei confronti del mondo e, soprattutto, verso se stesso. Ne Il sapore del successo (ma il Burnt originale, anche in questo caso, non era meglio?) il regista John Wells se la cava egregiamente nel mettere in scena il perfezionismo ossessivo che invade le cucine dei gradi chef, insistendo giustamente su quanto sia fondamentale l’aspetto collaborativo nella creazione di un piatto e su come l’anello debole di questa frenetica catena possa rovinare il risultato di tutti. Promosso Bradley Cooper e promossa anche Sienna Miller (qui alle prese con un personaggio un po’ più strutturato rispetto a quelli à la bella bionda e dice sempe sì con i quali ci ha abituati a vederla), ma a sorprendere ancora una volta è Daniel Brühl, misuratissimo maître dalla sensibilità spiccata che inanella l’ennesima prova superba. Di gran lunga il migliore di tutti.

Voto 6,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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