Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
L’ossessione di Woody Allen per Delitto e castigo di Dostoevskij sembra non avere alcuna intenzione di abbandonare il regista newyorkese. Lo accompagna dai tempi di Crimini e misfatti, gli è rimasta accanto in Misterioso omidicio a Manhattan ha condizionato la scrittura di Sogni e delitti ed è letteralmente esplosa in Match Point. L’elenco di opere alleniane influenzate dalla lettura del romanzo forse più significativo dell’autore russo si va ad allungare ulteriormente con questo Irrational Man che, dopo la perfezione stilistica raggiunta con Match Point, si posiziona solo un gradino più in basso, come un’altra lucida e amara metafora sulla vita e sui grandi temi che la governano: Caso, Fortuna, Crimine e Colpa.
Abe Lucas (un perfetto Joaquin Phoenix) è un illuminato professore di filosofia che conosciamo nel suo momento più difficile. Incapace di dare un senso alla propria vita o di trovare alcuna gioia in essa, è avvolto dalla sensazione che tutto ciò che ha tentato di fare, dall’attivismo politico all’insegnamento, non ha avuto alcun risvolto pratico e non è servito a rendere il mondo un posto migliore. Subito dopo essere arrivato nel college di una piccola città, l’uomo conosce Rita Richards (Parker Posey), solitaria professoressa in cerca di un amante che possa salvarla da un matrimonio infelice e Jill Pollard (Emma Stone), una delle sue studentesse, che diventa anche la sua migliore amica. Jill è affascinata da Abe e dal suo autolesionismo, ma l’uomo la rifiuta. Demoralizzato dalla consapevolezza della futilità delle stesse teorie alle quali ha dedicato l’esistenza, Abe sente il disperato bisogno di un progetto che gli restituisca un motivo per vivere, progetto che gli viene offerto dal Destino su un piatto d’argento quando, ascoltando casualmente una conversazione, viene a sapere di un giudice corrotto e responsabile di tremende ingiustizie. Ucciderà quell’uomo per migliorare il mondo liberandolo da una piccola ma significativa percentuale di male, ritrovando in questa rivoluzione personale il senso della propria esistenza.
Che Dio è morto e che lo abbiamo ucciso noi, ce lo aveva già detto Nietzsche. La sua scomparsa ha portato via ogni certezza e ora siamo noi a dover fare i conti con la nostra coscienza. Allora le azioni giuste e quelle sbagliate lo sono per chi? Rispetto a cosa? Il professor Lucas, vittima del suo sapere che di fatto lo ha allontanato dalla vita, si pone queste domande e, da intellettuale narciso quale è, si erge a giustiziere dei mali umani, forte delle proprie certezze secondo cui, di fronte al fallimento della legge, rimane l’uomo, che in quel caso è legittimato ad agire in nome di un Ideale. Ed è qui che il delitto, tanto vituperato dalla società, diviene il mezzo attraverso il quale è possibile modificare gli equilibri del bene comune, e diventa anche fonte di pace interiore per chi lo commette.
Ancor più che dalle elucubrazioni di Dostoevskij, Abe sembra essere nato dalle parole di Albert Camus, quando sosteneva che non si è felici se si continua a cercare in che cosa consista effettivamente la felicità. Che non si vive se ci si sofferma a cercare il significato della vita.
Di certo il cinismo e il disincanto regnano sovrani in Irrational Man, i cui passaggi fondamentali non vengono scanditi a tempo di jazz come accade nella maggior parte dei film di Woody Allen, e il cui protagonista è scevro dai tic e dalle fattezze del suo demiurgo. Oltre la godibiltà formale, quest’opera è un inno alla cerebralità e al pragmatismo, ai dilemmi morali e all’esistenzialismo, portato avanti da un cast in stato di grazia.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Woody Allen, in forma smagliante, torna in sala con un inno al pragmatismo e ai dilemmi morali.
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