Il piccolo principe

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Una bambina si trasferisce insieme alla madre in un nuovo quartiere.
Si trova in quel delicato momento della vita in cui la spensieratezza dell’infanzia cede il passo alle prime responsabilità. Il nuovo vicino di casa è un anziano ed eccentrico aviatore che inizia a raccontarle di come, anni prima, sia precipitato nel deserto dove ha incontrato il Piccolo Principe, un enigmatico ragazzino giunto sulla Terra da un altro pianeta. Le esperienze dell’aviatore e il racconto dei viaggi del Piccolo Principe in altri mondi contribuiscono a creare un legame tra l’uomo e la bambina che affronteranno insieme una straordinaria avventura, alla fine della quale quest’ultima avrà imparato ad usare la sua immaginazione e a diventare grande conservando dentro di sé una parte infantile.



Scelta senza dubbio coraggiosa quella di tradurre in immagini il celeberrimo libro di Antoine de Saint Exupéry nel 2015. In primo luogo perché Il piccolo principe è uno di quei classici onnipresenti anche tra gli scaffali dei lettori più insospettabili. Il tipico libro di cui, indipendentemente dal fatto che sia stato letto o meno, tutti hanno in casa una copia.
Un po’ il corrispettivo letterario di quello che rappresentano, in termini discografici, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd o il primo disco di Tracy Chapman. Poi c’è un discorso più legato al rischio che un film tratto da un’opera non proprio recente  – fu pubblicato per la prima volta nel 1943 – potesse avere un coefficiente di appeal bassino presso le ultime generazioni venute su a pane e videogame.
D’altro canto uno dei motivi alla base dell’enorme e costante successo de Il piccolo principe è sempre stato proprio il suo essere perfettamente fruibile sia da un pubblico adulto che dal mondo dell’infanzia in virtù dei suoi differenti piani di lettura.
Il film si pone quindi come obiettivo primario quello di riuscire a piacere a due target distinti e lo strumento scelto da Mark Osbourne (già regista di Kung Fu Panda) per raggiungere il risultato è nella giustapposizione di due differenti stili di animazione.

Ecco quindi che a un registro visivo tridimensionale associato al piano della realtà e del tutto in linea con gli standard a cui ci hanno abituato (benissimo) la Pixar negli ultimi anni, se ne alterna un altro realizzato in stop motion, molto più raffinato e old style, che descrive in modo poetico e stilizzato i viaggi del Piccolo Principe.
Il risultato di questo crossover è piacevole e contribuisce ad alleggerire il peso di una storia che non può in alcun modo competere con gli script prodotti dalla major citata poc’anzi. Questo per dire di quanto sarebbe ingeneroso un confronto tra questo film e un capolavoro di scatole cinesi di senso come il recente Inside Out, giusto per citare un’altra opera che, in modo similare, cerca di spiegare sotto forma di favola il delicato e doloroso passaggio all’età adulta.
Ma il fascino de Il Piccolo Principe, in fondo, è anche nella sua naiveté un po’ vecchio stampo e il film, alla fine, fa il suo lavoro portando a sorridere e commuoversi esattamente dove c’è da farlo.
Viene solo un po’ il magone – ma mi rendo perfettamente conto di quanto questa possa sembrare un’istanza dettata da pura cinefilia esterofila – a scorrere i nomi dei doppiatori della versione originale (Jeff Bridges, James Franco, Marion Cotillard) per poi ascoltare, nell’edizione doppiata, le voci di Pif, Alessandro Siani e Stefano Accorsi. Fortuna vuole che almeno la parte principale (quella dell’anziano aviatore) sia impreziosita dal talento vocale di Toni Servillo.
Non un titolo che cambierà le sorti dell’animazione moderna (ammesso che ambisse ad esserlo) ma di sicuro una manna per chiunque abbia amato il libro.

Voto 6,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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