Perfetti sconosciuti

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Questa voltra Freud non c’entra: è tutta colpa della luna. Colpa di un’eclissi di mezza estate se una cena tra amici di vecchia data rischia di trasformarsi in un disastro, se una serata come tante prende una piega imprevista quando si inizia a parlare dei segreti custoditi nei cellulari di ciascuno. E quando la padrona di casa propone un gioco che prevede che ogni commensale legga agli altri i messaggi che riceve o risponda al telefono in vivavoce, ecco che gli equilibri iniziano a sfaldarsi.



Perfetti_Sconosciuti

Un anno dopo il dimenticabile Sei mai stata sulla luna? Paolo Genovese torna nelle sale con quello che è senza dubbio il suo film più riuscito e il merito va, oltre che ad un cast in gran forma (Marco Giallini, Eooardo Leo, Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Kasia Smutniak, Alba Rohrwacher e Valerio Mastandrea) a uno script altrettanto corale, ad opera di Paolo Costella, Filippo Bologna, Paola Mammini e Rolando Ravello, oltre che allo stesso Genovese, che ad una prima parte scandita da una comicità frizzante e ben calibrata, ne fa seguire una seconda in cui è il dramma a prendere il sopravvento. Girato in sequenza e rispettando l’unità di luogo e di tempo ereditate dalla tradizione teatrale aristotelica, Perfetti sconosciuti fa tornare alla mente la piéce teatrale di Tracy Letts vincitrice del Pulitzer Agosto, foto di famiglia (portato al cinema un paio di anni fa da John Wells) ma anche un certo cinema “da camera” (Carnage di Polanski?) e “da tavola” che vede ne Il nome del figlio della Archibugi (ma anche in questo caso si tratta di un adattamento, l’originale è francese e si intitola Le Prénom) l’ultimo tassello, in ordine di tempo, di un cinema che sfrutta l’elemento conviviale per frantumare certezze e sbriciolare rapporti.

La parte del meccanismo più efficace, in Perfetti Sconosciuti, è proprio il modo in cui Genovese e i suoi co-autori riescono a sfruttare lo strano gioco della verità voluto dal personaggio interpretato da Kasia Smutniak, in cui il desiderio che stia per accadere qualcosa di compromettente viene letto dallo spettatore sui volti dei commensali, ancor prima che sul display del telefonino in questione. Come se, ben consci di avere un segreto da nascondere, ognuno dei sette amici attendesse con trepidazione e una certa malignità il passo falso dell’altro, per sentirsi meno in torto. Un congegno oliato a dovere che tiene bene per tre quarti della durata e che delude un po’ nel finale quando, alla speranza che il patto del lieto fine per una volta venga infranto, subentra la certezza che il massacro sia stato, invece, solo annunciato.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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