Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Un venerdì sera come tanti altri Glen (Chris New) e Russell (Tom Cullen) si incontrano in un locale gay.
Tra i due nasce subito una forte attrazione, ma quello che sembrava solo un incontro occasionale, si trasforma da subito in qualcosa di più.
Il lunedì successivo Glen partirà per gli Stati Uniti dove ha deciso di trasferirsi, così i due ragazzi vivranno un intenso weekend di sesso, chiacchiere e scambi di idee.
“Sconsigliato, non utilizzabile e scabroso”.
Questi i termini utilizzati dalla Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) per definire la seconda pellicola di Andrew Haigh, in arrivo nelle nostre sale sulla scia del buon riscontro di critica e pubblico (e la strameritata nomination all’Oscar per Charlotte Rampling) del più recente 45 anni.
Ed è curioso come, con questo giudizio, si voglia bollare come inadatta quella che è a tutti gli effetti la più ordinaria delle storie d’amore.
O almeno l’incipit di una possibile storia d’amore.
Se i due protagonisti del film non fossero entrambi di sesso maschile, Weekend parlerebbe infatti la stessa lingua di molti fine settimana della vita di chiunque. La stessa di un qualsiasi venerdì sera passato al bancone di un locale con la speranza recondita di essere avvicinati da qualcuno con cui scambiare due chiacchiere e, se proprio va bene, magari tirare mattina.
L’elemento di novità portato da Haigh nella storia riguarda invece la riduzione ai minimi termini della “magia” dell’incontro in sé per concentrarsi su quello che altri autori lascerebbero in secondo piano, se non addirittura fuori campo.
Parliamo di tutto quello che accade immediatamente dopo che la scintilla iniziale si è consumata e che spesso coincide con un risveglio fatto di caffè bevuti in fretta, presentazioni tardive e baci dati con il consapevole imbarazzo di un alito tutt’altro che buono.
Ecco che quello che molti rubricherebbero nella lista dei tempi morti diventa in Weekend forma e sostanza di un apologo di dolcezza straniante, in cui gli spazi dell’intimità si aprono per concedere allo spettatore il raro privilegio di assistere alla nascita di qualcosa che forse potrebbe essere una relazione.
Ovvio che il meccanismo di conoscenza di qualcuno che sia nuovo e, al contempo, altro da noi possa spingere a una riflessione che vada ben oltre la semplice avventura di una sera, andando a toccare le nostre aree di maggiore vulnerabilità e, più in generale, la natura del nostro approccio verso l’esterno.
Un esterno che Haigh nega quasi del tutto allo sguardo, concentrando invece l’azione nel minuscolo appartamento di Russell che diventa ben presto un acquario dentro il quale osservare ma, allo stesso tempo, anche specchiarsi.
La struttura è più o meno la stessa di un film come Prima dell’alba di Richard Linklater, con la sola aggravante – per universi culturali evidentemente poco inclini a qualsiasi forma di apertura mentale – che qui si fa sesso e ci si droga.
Senza neanche sforzarsi di notare come, una volta epurato delle sue componenti più facilmente connotanti, Weekend offra una delicatezza di sguardo rarissima.
Nonostante Andrew Haigh non lasci alcuno scampo ai suoi Russell e Glen, braccandoli con la macchina da presa per novanta minuti per rubarne ogni minimo gesto, lo fa con estremo affetto e, a suo modo, con pudore.
Più o meno lo stesso che ci si scopre ad avere, da spettatore, nel vederli così fragili e complici pur essendo poco più che due estranei, mentre si perdono e ritrovano più volte anche nell’arco di un solo sguardo.
Voto 7,5
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Il film diretto da Andrew Haigh e bocciato dalla CEI è una storia d’amore tenue e delicata.
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