Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Mary Mapes (Cate Blanchett) è la produttrice del programma di news 60 Minutes, condotto dal veterano del giornalismo Dan Rather (Robert Redford) sulla CBS. Nei mesi che precedono le elezioni presidenziali del 2004, i due entrano in possesso di documenti che portano alla luce lo scandalo passato alla storia recente come “Rathergate”: le raccomandazioni attraverso le quali George W. Bush, all’epoca del suo servizio militare, riuscì ad essere assegnato alla Guardia Nazionale invece di partire per il Vietnam. La messa in onda del servizio espone il programma a una campagna diffamatoria tesa a dimostrare come le fonti alla base della news fossero in realtà ben poco affidabili. Mary e Dan si trovano così a giocarsi le rispettive carriere e le cose sembrano peggiorare ulteriormente quando il loro stesso network inizia a mettere in dubbio i loro metodi di verifica delle fonti.
James Vanderbilt, già sceneggiatore di Zodiac e dei due Amazing Spider-Man, fa il suo esordio dietro la macchina da presa con questo lucido e potente apologo sulla libertà di stampa tratto dal memoir della stessa Mary Mapes, Truth and Duty: The Press, The President and the Privilege of Power. Ciò che stupisce maggiormente in Truth è la capacità dello script (opera dello stesso Vanderbilt) di partire come il più classico dei film d’inchiesta anni Settanta per virare, da un certo punto in poi, verso una riflessione acutissima sullo stato della libertà di espressione oggi. Il nemico non è tanto Bush o il sistema politico in senso stretto, quanto il potere economico che questo veicola e le battaglie che si combattono per lo più all’interno di quelle stesse redazioni che dovrebbero idealmente rappresentare gli ultimi bastioni della verità. Il ritmo scelto per il racconto è quello lento ma sinuoso già adottato dal regista nel magnifico Zodiac di Fincher ma, mentre in quel caso si trattava di raffreddare, dilatandone i tempi, una storia che trovava la sua principale ragione d’interesse nella natura sanguinosa dei fatti raccontati, qui il processo è ancora più complesso. L’autore riesce infatti a creare tensione all’interno di una vicenda che, almeno sulla carta, ne avrebbe ben poca.
Il risultato, in buona sostanza, è il de profundis del giornalismo moderno. Se il cinema civile del passato sembrava aver dimostrato che la verità prima o poi esce sempre fuori, Truth ci spiega invece come questo purtroppo non sia sempre vero. Pregi della sceneggiatura a parte, qui ci si trova in presenza di un livello di recitazione altissimo. E’ vero che Cate Blanchett ha ormai ben poco da dimostrare (specialmente dopo Blue Jasmine) ma qui, se possibile, riesce ad andare anche oltre.
Stesso discorso per Redford, ma è tutto il cast a convincere, a partire da un ritrovato Dennis Quaid per arrivare ai più giovani Topher Grace ed Elizabeth Moss (la Peggy Olson di Mad Men). Se Truth ha una pecca forse è da riscontrare in una regia un po’ piatta e, in generale, poco propensa al guizzo, ma immaginiamo possa essere stata anche una consapevole scelta quella di mettere in primo piano i fatti assecondandoli con uno stile meno invasivo possibile. Visione piacevole e vecchio stile.
Voto 7
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