Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
C’è un sottogenere ormai piuttosto folto di film che sfruttano rigidamente l’unità di tempo e hanno come protagonista un uomo comune che, tenuto sotto scacco di uno sconosciuto onnisciente e spesso psicopatico, si vede costretto a diventare suo malgrado un eroe.
A questo preciso pattern narrativo, poi, Desconocido – Resa dei conti aggiunge anche l’unità di luogo, costringendo l’intera azione dentro l’abitacolo di un’automobile. Se, a questo punto, state pensando a un mix iberico tra Speed e Locke sappiate che non siete poi così lontani dalla realtà.
La storia è quella di Carlos (Luis Tosar), ambizioso e stimato dirigente di banca che, una mattina, a causa di un improvviso impegno lavorativo, decide di accompagnare personalmente i figli a scuola, piuttosto che delegare il compito alla moglie Marta (Maya Toledo).
Ma appena salito in auto l’uomo realizza che, quella che era iniziata come una giornata come le altre, sta per trasformarsi in un incubo dalle conseguenze impensabili. Improvvisamente a bordo squilla un cellulare e la voce fredda di uno sconosciuto gli intima di accreditare un’ingente cifra di denaro su un conto bancario. Se i soldi non dovessero arrivare nel tempo prestabilito, Carlos salterà in aria insieme ai suoi figli. Lo sconosciuto ricattatore, ha infatti posizionato sotto i loro sedili una bomba che potrà innescare in qualsiasi momento.
Inizia così una folle corsa contro il tempo e contro un avversario invisibile che, però, sembra conoscere tutto di lui e non è intenzionato a dargli pace.
Desconocido – Resa dei conti rappresenta un interessante, sebbene riuscito solo in parte, tentativo di ibridare l’action di scuola hollywoodiana con il cinema d’autore. La concitazione di inseguimenti mozzafiato, uniti a colpi di scena progressivi e quasi mai scontati sono infatti controbilanciati da un sottotesto di (neanche troppo) velata critica sociale a un sistema finanziario sempre più fondato sul nulla.
A lavorare meglio però è il versante più squisitamente di genere – sebbene lo script di Alberto Marini cada in un paio di errori di fronte ai quali è difficile soprassedere – mentre il côté più impegnato appare come un mero escamotage narrativo utile a scatenare le ire del villain di turno.
I principali punti di forza del film sono nella regia adrenalinica dell’esordiente Dani de la Torre, assai abile nel tenere sempre alta l’asticella della tensione e nello sguardo allucinato di uno straordinario Luis Tosar, che ricordiamo portiere sociopatico in Bedtime di Jaume Balaguerò, nonché Malamadre, il leader dei detenuti in Cella 211. E’ soprattutto nel suo sguardo che si consuma il dramma peggiore: quello di un uomo costretto ad affrontare i demoni del passato, mentre l’innocenza e la fiducia dei figli inesorabilmente si sgretolano sul sedile di dietro. Regia e protagonista illuminano quindi un film che, pur nella sua natura di prodotto dichiaratamente medio, riesce nell’impresa di non annoiare mai lo spettatore. Che, per un thriller che si consuma tutto all’interno di in un’auto, non è neanche un risultato poi così scontato.
Voto 6
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