Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo la Cenerentola di Kenneth Branagh e immediatamente prima che Tim Burton metta mano alla lacrimevole storia di Dumbo, con questo Il libro della giungla firmato Jon Favreau la Disney aggiunge un ulteriore tassello al sistematico processo che, negli ultimi anni, la vede impegnata nella rielaborazione live-action di molti dei suoi capolavori del passato.
Operazione non priva di insidie quella di tradurre in immagini le avventure di Mowgli.
Innanzitutto perché Il libro della giungla originale è una sorta di testo sacro per lo sviluppo dell’immaginario collettivo (la maggior parte dei bambini fanno la prima conoscenza del mondo animale proprio attraverso quest’opera) oltre che base archetipica di quasi ogni racconto di formazione che si rispetti. E poi per le inevitabili difficoltà tecniche che immaginiamo abbia comportato rendere realistico un ambiente abitato per lo più da animali antropomorfi. Per quanto riguarda quest’ultimo elemento però, va subito detto che il risultato lascia letteralmente a bocca aperta, per la bellezza delle immagini in generale e per come una CGI meno invasiva del solito riesce a ricreare in maniera fluida e credibile la dimensione fantastica che fu prima del libro di Kypling e poi del film del ’67.
Il tutto incorniciato da un 3D per una volta non puramente accessorio, ma necessario per amplificare la percezione di profondità di spazio di una giungla ricostruita, in modo perfetto, interamente in digitale.
La storia poi è fedelissima all’originale ed è sempre quella di Mowgli, cucciolo d’uomo allevato nella giungla da una famiglia di lupi, costretto ad abbandonare quella che ormai considera la propria casa all’arrivo della temibile tigre Shere Khan, desiderosa di vendetta verso quegli uomini che in passato osarono sfregiarle il volto.
Da lì Mowgli inizia un avventuroso viaggio in compagnia del suo mentore, la pantera Bagheera (Toni Servillo), e dell’indolente orso Baloo (Neri Marcorè) alla scoperta di come ogni processo di crescita passi anche attraverso una parziale perdita del senso di appartenenza, durante il quale incontrerà numerosi pericoli, tra cui il sinuoso pitone Kaa (Giovanna Mezzogiorno) che con la sua voce e il suo sguardo ammalianti tenterà di ipnotizzarlo e il logorroico King Louie (Giancarlo Magalli), un Gigantopithecus che cercherà di convincere il giovane a rivelargli il segreto del “fiore rosso” degli uomini.
Non si commetta però l’errore di considerare l’assenza di elementi narrativi inediti come una mancanza, anzi. Tutto il lavoro di Favreau è da intendersi infatti come un sentito omaggio all’opera originale di cui il regista di Iron Man e Cowboys & Aliens cerca di conservare – al netto dei passi avanti fatti dalla tecnologia negli ultimi cinquant’anni – spirito e atmosfere, senza l’ansia di riscrivere qualcosa che, nella sua estrema semplicità, è già perfetto di suo.
Il valore di questa nuova versione de Il libro della giungla è proprio nel suo essere ideale punto di raccordo tra suggestioni del passato e possibilità del presente. Anche la musica rimane la stessa, in un delizioso ritorno alle origini che trova il suo climax in quella canzoncina cantata da Baloo (Lo stretto indispensabile) che crea nello spettatore più adulto un cortocircuito emozionale molto simile alla prima apparizione del Millennium Falcon ne Il risveglio della forza. Le innovazioni semmai, come spesso accade, si nascondono negli interstizi: in certi toni dark con cui vengono connotati i tre villain, così come nella vena citazionista che porta l’autore a costruire il primate King Louie come una variante scimmiesca del Kurtz di Marlon Brando.
Ciò che resta alla fine è un autentico spettacolo per gli occhi. Intrattenimento della miglior specie, talmente ben fatto – sia che lo si consideri come prodotto nuovo per i bimbi di oggi, sia che lo si veda invece come madeleine proustiana per quelli di ieri – da far passare in secondo piano anche le eventuali considerazioni sull’aggressività di una politica commerciale che se, da un lato sta portando la Disney (tra film d’animazione, Marvel e live-action) a garantirsi una copertura dell’anno cinematografico pressoché priva di pause, dall’altro corre il rischio di privare in parte le sue uscite di quello status di “evento” che una distribuzione temporale più cadenzata senz’altro garantirebbe loro.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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