Quella volta alla Festa del Cinema e lo scoop del nonno di Corleone

Di Mario Sesti
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Come si racconta in Che cosa è il cinema (edizioni Carmine Donzelli), dove c’è un resoconto dell’incontro che Al Pacino tenne alla Festa del Cinema di Roma nel 2008 – fu anche il momento in cui, per la prima volta, fece vedere delle immagini di Wilde Salomé nelle sale in questi giorni – la rivelazione, pubblica, arriva alle ore 22.07. Ricordo benissimo il momento: fissai l’orologio nella convinzione che ci fosse qualcosa di storico e glorioso. La platea tratteneva il respiro dopo un intenso brusio. Al Pacino panoramicava con il suo sguardo sulla platea con il suo sorriso più noto: quello che i suoi personaggi indossano senza farti capire se stanno pensando di finire l’interlocutore a coltellate o abbracciarlo in preda a singhiozzi oppure se intendono lanciarsi di lì a poco dalla finestra. Era come se dicesse: “Lo so, sembra impossibile, ma è così”. Ci sono cose che ti fanno capire che anche la vita, e non solo i film, a volte, avrebbe bisogno di un buon sceneggiatore. E’ mai possibile che il più noto personaggio del cinema americano contemporaneo (Michael Corleone nel Padrino) sia stato interpretato da un attore che ha scoperto solo dopo aver fatto i tre film della saga che il proprio nonno era nato a Corleone?

L’incontro con Al Pacino in sala Sinopoli, nel 2008, di fronte a più di mille persone (di cui fece una cronaca anche Le Monde) è stato certamente uno degli eventi memorabili della Festa del Cinema, ma questa rivelazione, pubblica, ha trasformato improvvisamente l’incontro in qualcosa che somigliava ad una scena del Padrino. Per il resto, fu una superba masterclass sull’attore, una sua fenomenologia esistenziale esposta a braccio. L’attore è colui che vive per essere scelto. E rifiutato. E’ un mestiere in cui non ci si può permettere di smettere di crescere. L’attore nasce con una esperienza che è innanzitutto linguaggio (“all’inizio c’è l’amore per le parole”) e poi si trasforma in una creatura che deve esporre se stesso al caos delle pulsioni, al tumulto del copro e della mente, per fare il proprio lavoro: “Tutte le volte che salgo a teatro su un palco come questo – disse indicando il suolo – devo avere la sensazione che potrei morire per averlo fatto”. La paura, che tutti gli attori temono e che tutti gli attori sanno di dover amare. Al Pacino venne alla Festa del Cinema esplicitamente per ritirare un premio all’Actors Studio: atterrò da Londra con il suo aereo personale, che pagò di tasca sua. All’incontro facemmo vedere diverse clip dei suoi film che lui gustò insieme al pubblico con grande piacere personale: affondando la testa tra le spalle, ghignando, talvolta accompagnando la fine delle sue performance con cenni di visibile soddisfazione. Stacco. Qualche anno dopo (un paio) mi chiama l’assistente di Al Pacino e mi chiede se posso inviargli un dvd con le clip che io e Antonio Monda abbiamo scelto. Doveva fare un incontro analogo e voleva usare la stessa selezione. L’idea che Al Pacino stia da qualche parte nel mondo a incontrare un pubblico con delle sequenze scelte da noi è un’altra di quelle soluzioni di sceneggiatura che sarebbe difficile rendere verosimili in un film.



 

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