Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Si può vincere una gara anche arrivando ultimi?
E’ questo, in buona sostanza, l’interrogativo mosso da Eddie the Eagle, biopic di Michael “Eddie” Edwards, primo inglese a gareggiare alle Olimpiadi nel salto con gli sci. E la risposta è evidentemente affermativa se Eddie (un irriconoscibile Taron Egerton), pur essendo tutt’altro che un campione in questa disciplina riuscì non solo a giocarsela con i più grandi, ma a diventare un autentico beniamino del pubblico.
Un sogno, il suo, coltivato per tutta la vita fin da un’infanzia segnata da una serie di problemi a ossa e ginocchia mentre chiunque intorno – dal severo padre che lo avrebbe voluto imbianchino come lui fino allo stesso staff olimpionico – gli consiglia di lasciar perdere e di dedicarsi ad altro.
In mezzo più o meno tutti i cliché che ci si aspetterebbe di trovare in un film che affronta il tema del riscatto da un punto di vista sportivo, madre complice e coach beone e inizialmente riluttante (Hugh Jackman) compresi. E un montaggio veloce di scene in cui il protagonista si allena con una canzone anni ’80 (per la precisione di Hall & Oates) a fare da sottofondo, ovvio.
Se a qualcuno poi le Olimpiadi invernali di Calgary dell’88 dovessero ricordare qualcosa, probabilmente è perché in quella stessa occasione gareggiò anche l’ormai leggendaria squadra giamaicana di bob le cui gesta erano raccontate in Cool Runnings.
Eddie the Eagle rappresenta per l’appunto una crasi tra quest’ultimo film (ma il canovaccio è più o meno sempre lo stesso dai tempi di Rocky) e Forrest Gump, con cui il protagonista condivide un candore di fondo che contribuì poi a renderlo popolare fino al punto di essere invitato da Reagan alla Casa Bianca pur non avendo mai vinto nulla.
Se poi, arrivati a questo punto della lettura, doveste essere tentati di liquidare la pellicola come “derivativa” e magari soprassedere di fronte all’ipotesi di concedergli due ore scarse del vostro tempo, va detto che, malgrado una struttura che definire già vista è poco, Eddie the Eagle funziona.
Funziona innanzitutto per una leggerezza di fondo che imbriglia la storia nei canoni della commedia senza lambire il (pur facile) dramma, rendendola così un inno all’ottimismo e al non darsi mai per vinti di cui, al cinema, c’è sempre un gran bisogno. Così come funziona il cast, con un Egerton insospettabilmente maturo nella sua caratterizzazione di Edwards: di certo buffa ma non macchiettistica, Hugh Jackman che fa Hugh Jackman e – relegati in ruoli forse un po’ troppo di contorno ma perfettamente funzionali alla bontà del risultato finale – due caratteristi di lusso del calibro di Christopher Walken e Jim Broadbent.
La regia di Dexter Fletcher poi è abile nel suggerire allo spettatore tutta la difficoltà tecnica del salto con gli sci e la considerevole dote di incoscienza di cui doveva essere dotato il protagonista anche solo per pensare di lanciarsi a folle velocità da un trampolino alto novanta metri senza averlo mai fatto prima.
Cinema orgogliosamente medio insomma, e classico perché anche stilisticamente vicino a un’estetica eighties, Eddie the Eagle regala uno spaccato di onestà normalità british che, sebbene non dica nulla di nuovo, lo fa bene e, soprattutto, fa abbastanza bene al cuore.
E non stupisce affatto che a produrre il tutto ci sia uno come Matthew Vaughn: sia Kick-Ass che Kingsman – Secret Service (quest’ultimo con lo stesso Egerton protagonista) dicono in fondo le stesse cose, con le differenze stilistiche del caso.
Perché Michael “Eddie” Edwards, nel suo superare i propri limiti fisici e caratteriali fino a diventare per tutti “The Eagle”, è quanto di più simile a un supereroe si possa incontrare nella vita reale.
Un supereroe goffo e ingenuo, ma pur sempre un supereroe.
Voto 6,5
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