Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
“Un gruppo di uccelli arrabbiati vuole vendicarsi con dei maialini verdi colpevoli di aver rubato loro le uova per cibarsene. Si armano così di fionda e si lanciano contro i nemici per eliminarli.”
(Wikipedia)
Questa la meccanica alla base del giochino Angry Birds, rilasciato verso la fine del 2009 dall’azienda finlandese Rovio, e più o meno è anche la trama del film che da quello stesso giochino è tratto.
Dico ‘più o meno’ perché, in realtà, parlare di trama forse è esagerato.
C’è da dire che, data anche la natura estremamente basica del gioco in questione, costruirci attorno un’ora e mezza di film era impresa tutt’altro che semplice.
Gli autori d’altronde, dopo essersi dibattuti tra la possibilità di costruire un universo narrativo inedito e indipendente dalla sua matrice videoludica o sposare in toto la bidimensionalità testuale del progetto originario (come del resto già fatto con la serie animata del 2013), devono aver deciso di tenersi esattamente a metà strada.
Ecco quindi che a una prima parte del film che spiega come nasca l’acredine tra uccellini e maiali verdi, ne segue una seconda in cui si passa allo scontro vero e proprio, sostanzialmente una versione dotata di maggiore spessore tecnico del gioco.
Questo non sarebbe neanche un male, se non fosse che a funzionare di più è proprio questa seconda parte, meno narrativa, a scapito di un prologo che invece risulta assai meno interessante.
E se è pur vero che un progetto del genere nasce e vive esclusivamente nell’ottica di una fruizione “bambina”, c’è però da dire che la concorrenza (leggi pure Disney) ha ormai da tempo sdoganato il preconcetto che vuole che un prodotto per l’infanzia debba per forza rinunciare alla possibilità di essere, nel contempo, anche un buon film.
Qui, invece, se prescindiamo da un incipit che è più o meno lo stesso dai tempi di Dumbo, ossia l’emarginazione del diverso, e da una rivalutazione dell’ira come sentimento non da bandire quanto piuttosto da incanalare (concetto a cui arrivava prima e infinitamente meglio lo straordinario Inside Out) ciò che rimane è un’avventura oltremodo naif supportata da una qualità tecnica sì inappuntabile ma nient’affatto stupefacente.
E, si badi bene, il paragone non va fatto solo con l’universo Disney – ché sarebbe ingeneroso – ma anche considerando lo scarto con film come i dittici di Dragon Trainer e Hotel Transylvania, sintesi di gran lunga più riuscite nel bilanciare suggestioni infantili e entertainment anagraficamente trasversale.
L’impressione è che gli autori di Angry Birds avessero più urgenza di sfruttare un brand commerciale noto a chiunque che non di creare un mondo a sé, eventualmente sviluppabile in uno o più sequel.
Resta il fatto che parlarne male è oggettivamente difficile. Perché, come già detto, il film è ben fatto ed è improbabile che i bambini possano non ridere della tenera goffaggine di Red, Chuck e Bomb.
Il problema semmai riguarda più noi adulti, abituati troppo bene da decenni in cui la Pixar è sembrata quasi più preoccupata di impressionare le generazioni più cresciute che non quello che, di fatto, resta il pubblico di riferimento di qualsiasi film d’animazione.
La curiosità adesso è capire come un piccolo spettatore sia capace di valutare Angry Birds dopo aver visto, non più di tre mesi fa, un capolavoro come Zootropolis.
Animali antropomorfi a parte.
Voto 5
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Dopo aver campeggiato sui nostri smartphone, Red, Chuck e Bomb arrivano anche nelle sale.
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