Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Una commedia svelta, fresca e surreale, a tratti picaresca, dedicata a Samuel Beckett e al suo Teatro dell’assurdo: Cristian e Palletta contro tutti fa capolino nelle sale in un momento cinematograficamente tutt’altro che eccelso che coincide con l’inizio dell’estate ed è un peccato che esca solo in 34 copie. Perché l’esordio dietro la macchina da presa di Antonio Manzini, già attore di successo, sceneggiatore per Infascelli e Salvatores (per i quali ha scritto rispettivamente Il siero della vanità e Come Dio comanda) nonché autore di gialli di successo con protagonista il Vicequestore Rocco Schiavone, è una sorpresa piacevole e inaspettata.
Manzini racconta, con la dimestichezza di chi si sente a proprio agio in qualunque ambito richieda familiarità con la capacità di saper raccontare una storia, la bizzarra vicenda di Cristian (Libero De Rienzo), un trentenne spiantato e fedele seguace della “botta di culo”, che intravede l’occasione della vita per uscire dalla mediocrità in un losco affare: recuperare della pipì di giaguaro per portare a termine un piano in cui è rimasto invischiato. Con lui, l’amico di sempre Palletta (Pietro Sermonti), meccanico squattrinato, innamorato di Teresa (Margherita Vicario), fidanzata di Cristian. I due affronteranno insieme un viaggio in terra di Puglia imbattendosi in una assortita varietà di coloriti personaggi, tra artisti circensi decaduti (il divertentissimo Rocco Ciarmoli) e inquietanti vedove di camorra (Giselda Volodi), per trovare la tanto agognata urina del temibile fèlide.
Scritto co una precisione e una leggerezza rari, Cristian e Palletta contro tutti è un gradevolissimo, piccolo film che punta tutto sull’assurda fatuità del piano dei due protagonisti per portare a termine la loro missione. Quello che più colpisce delle avventure di questa coppia di strampalati amici va cercato nella trama ridotta all’osso ma perfettamente equilibrata e nell’immediatezza della resa di situazioni e caratteri per cui è sufficiente un dettaglio, una parola, un’immagine, per rivelare molto più di quanto non venga mostrato. Antonio Manzini, che il film lo ha anche scritto (oltre che interpretato, vestendo i panni del guru degli stupefacenti John Benzedrina), si affida alla brachilogia, a un parlare conciso e sentenzioso intriso di romanità e di tanti altri dialetti, e vince nel rendere omaggio ad alcune commedie grottesche degli anni Settanta che trovano in Lina Wertmüller la rappresentante più significativa di quel filone.
Voto 6,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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