Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ne avevamo parlato nel 2014 dopo averlo visto alla Festa del Cinema di Roma, ma torniamo a farlo, a distanza di due anni, in occasione dell’uscita nelle sale. Nel frattempo Time Out of Mind nel nostro paese è diventato Gli invisibili. Il titolo originale, come spesso accade, è decisamente più calzante e appropriato e rimanda, almeno in quanto a considerazioni amare e una buona dose di disillusione, all’omonimo album pubblicato nel 1997 da Bob Dylan (quello che ha sancito il ritorno in pompa magna di Mr. Zimmerman, dopo un periodo piuttosto buio).
Firmato dal regista dei notevoli The Messenger, Rampart e del più recente Love & Mercy, Oren Moverman, con Richard Gere protagonista assoluto e incentrato sulla vita, o meglio su quel che ne rimane, di George Hammond, un senzatetto di New York di cui non sappiamo praticamente nulla, Gli invisibili è più uno studio sociologico che non un film vero e proprio, animato com’è da un singolare intento informativo e documentaristico sin dalle prime scene. Il desiderio di descrivere paure, angosce e sensazioni di uno di quei 20.000 homeless che vivono a New York e il tentativo di rendere ancora più tangibile il senso di solitudine e spaesatezza che attanaglia le persone come George Hammond, Moverman compie una scelta estrema e discutibile come il non voler raccontare praticamente nulla del passato dell’uomo o il restituire attraverso dei monotoni campi lunghi alternati a strettissimi primi piani, la solitudine e l’inadeguatezza che questo inusuale clochard indossa, proprio come un vecchio e logoro cappotto.
Vediamo Hammond/Gere vagare per le strade senza una meta, passare da un centro di accoglienza a una mensa per disagiati, in una peregrinazione mesta e disillusa che dura per tutto il film, addolcita solo dal desiderio di potersi ricongiungere con la sua unica figlia. Tolte le lodevoli intenzioni e qualche interessante guizzo registico, purtroppo del film non si salva altro. Gli invisibili finisce così per girare a vuoto per le quasi due ore di durata, privo com’è di un supporto drammaturgico più strutturato e di un più ampio respiro narrativo e la prova di Gere non gli è d’aiuto. Assolutamente non in grado di portare sulle proprie spalle il peso di uno script in cui, di fatto, accade poco o niente, l’attore americano viene surclassato dalle meno ambiziose performance dei suoi compagni di cast: Jena Malone Kyra Sedgwick e Ben Vereen.
Voto 5
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