Paul Feig porta le Ghostbusters a Roma. L’intervista

Di Fabio Giusti
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Paul Feig si presenta all’appuntamento di presentazione del suo Ghostbusters – che ovviamente abbiamo visto ma di cui non possiamo dire nulla fino al prossimo 28 luglio, giorno della sua uscita nelle sale – in un completo elegantissimo, un mix tra un gentleman hollywoodiano di mezza età e un nerd che sembra vivere e illuminarsi solo mentre parla di cinema. In realtà, il passaggio di testimone tra Ivan Reitman (regista del primo film sugli acchiappafantasmi) e Feig appare come la cosa più naturale del mondo. Fatte le dovute distinzioni infatti, lo stile ironico e citazionista del secondo è una diretta ed evidente filiazione dello sfrenato humour venato di tutte le suggestioni demenziali tipicamente eighties dell’autore di Stripes – Un plotone di svitati.

E’ lo stesso regista a rompere gli indugi e a presentarsi come “un grande fan di Ghostbusters” e a ricordare la forte emozione provata la prima volta che si è fatto il suo nome come possibile regista per portare avanti il franchise. Poi inizia a rispondere alle domande con la calma e l’entusiasmo di chi non solo ama il proprio lavoro, ma ci tiene a spiegarlo agli altri anche nei più minimi dettagli.



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Mr. Feig, a conti fatti il suo film sembrerebbe più un reboot che non un remake, è corretto?

E’ assolutamente un reboot. Fantasmi a parte, quello che mi interessava era raccontare la storia di un gruppo di outsider, considerati “strani” perché credono in qualcosa in cui nessun altro crede. Persone che, nonostante riescano a salvare l’intera New York, continuano a essere emarginati o chiamati pazzi. Allo stesso modo volevo porre l’accento sull’amicizia tra queste due donne, una delle quali dedica tutta la vita alla ricerca su una disciplina così sui generis e l’altra che, stanca di essere considerata fuori di testa, a un certo punto se ne allontana. Considera pure che la prima versione del mio Ghostbusters durava tre ore e mezza, per cui molti elementi della storia sono stati ridotti per arrivare poi alla versione che si vedrà al cinema. Anche perché il mio scopo era comunque quello di fare una commedia.

Ricorda le sue reazioni quando vide per la prima volta Ghostbusters?

Lo vidi la sera della prima. All’epoca frequentavo la scuola di cinema e io e i miei amici non sapevamo nulla del film. Avevamo visto il trailer ma, nell’epoca pre-Internet, non avevi molte informazioni sui film prima che uscissero in sala. Così ci sedemmo e ci godemmo quell’esperienza fantastica. Era la prima volta che vedevo un mix così potente di commedia e effetti speciali.

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Lei è un portabandiera della commedia al femminile. Che cosa la attira in particolare nel lavorare con le donne?

E’ vero, io amo lavorare con donne divertenti. Innanzitutto perché trovo che a Hollywood, per lungo tempo, queste non abbiano avuto la possibilità di lavorare quanto avrebbero potuto. Spesso, nelle commedie, le donne vengono messe al servizio delle star maschili e quasi non viene consentito loro di essere divertenti. Nelle commedie al maschile le donne sono raffigurate per lo più come cattive, eccessivamente pesanti o perfettine. Il mio scopo è mostrare come invece possa esistere una commedia per tutti, non declinata al maschile o al femminile ma solo interpretata da donne. Le persone divertenti, poi, lo sono indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne.

Il suo film è dedicato a Harold Ramis che ci ha lasciato da due anni e vede tutti i personaggi del primo film impegnati in ruoli cameo. Tutti tranne Rick Moranis. Come mai?

Abbiamo ovviamente chiesto anche a Rick di recitare in una piccola parte, ma lui ha declinato l’invito. Per quanto riguarda invece Harold Ramis, anche suo figlio è nel film e, se fate attenzione, nella prima scena in cui si vede la caserma dei pompieri che poi diventerà la base operativa delle Ghostbusters, in un angolo si vede una donna che tiene in braccio una bambina: sono la figlia e la nipotina di Harold. Questo perché conoscevo Harold e volevo a tutti i costi che fosse parte di questo film anche se non è più con noi.

E per quanto riguarda invece Bill Murray?

Sin dalla prima stesura dello script, Kate Dippold ha avuto l’idea di coinvolgere tutti gli attori del primo film e, nonostante Bill avesse più volte ribadito di non voler prendere parte al film in prima persona, è stato sempre entusiasta del progetto, soprattutto quando ha saputo che sarebbe stato declinato al femminile. Anzi, è stato proprio lui a suggerire Melissa McCarthy e Kristen Wiig come protagoniste. Una volta letto il copione poi, si è letteralmente innamorato del piccolo ruolo che avevamo scritto per lui. Ma, fino a due giorni prima di girare quella scena, non sapevamo comunque se l’avrebbe interpretata o meno. Bill Murray del resto è famoso per il suo non essere proprio il massimo dell’affidabilità.

Per quanto riguarda invece le attrici protagoniste? Quanto dei loro caratteri era già nella sceneggiatura e quanto invece è stato costruito insieme a loro?

Ottima domanda. In fase di scrittura, Kate e io non avevamo ancora nessuna attrice in mente. L’idea era semplicemente quella di creare quattro personalità molto ben distinte tra loro. Quando poi qualche nome ha cominciato a farsi avanti nella mia mente, il primo è stato senz’altro quello di Melissa, con cui ho già lavorato spesso. All’inizio, infatti, il ruolo che poi è andato a Leslie Jones doveva essere interpretato proprio da Melissa. Poi ho pensato che lei aveva già interpretato quel tipo di ruolo in altri film, ad esempio in Corpi da reato e ho deciso di affidarle la parte della leader del gruppo. Comunque in genere io scrivo il film. Poi, una volta fatto il casting, i singoli personaggi vengono riadattati in base a quello che l’attore e l’attrice possono apportare al ruolo, in modo tale che questo gli risulti cucito addosso.

Il primo trailer del suo Ghostbusters non è stato accolto benissimo e ha avuto un numero particolarmente alto di dislike. Come spiega questa debole accoglienza?

Nei confronti del trailer c’è stata una vera e propria campagna realizzata da coloro a cui non piaceva l’idea di qualcuno rifacesse Ghostbusters e che quindi hanno spinto verso l’alto il numero dei dislike, spesso utilizzando anche più di un account. Un trailer, inoltre, rappresenta solo un primo sguardo verso qualcosa che nessuno ancora ha visto e che, di fatto, è incompleto. Ciò detto, dovunque io abbia fatto vedere il film fino ad ora, l’accoglienza è stata molto più che buona. E io sono uno che tende a guardare sempre il bicchiere mezzo pieno.

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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