Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Sia sempre lodata la Koch Media per il certosino lavoro di recupero che, negli ultimi anni, l’ha vista brillare come la più credibile realtà distributiva per quanto riguarda l’horror di qualità in Italia.
Accade dunque che, dopo il bellissimo Babadook dello scorso anno, tocchi stavolta a It Follows di David Robert Mitchell essere salvato dal limbo spesso privo di senso degli inediti per garantire agli amanti del genere qualche brivido estivo.
Il paragone tra i due film non è nemmeno così azzardato se consideriamo come entrambi riescano nell’intento di spaventare – che, per quanto appaia pleonastico ribadirlo, rimane la funzione primaria di qualsiasi horror – e, allo stesso tempo, di forzare gli angusti steccati che troppo spesso relegano il genere all’interno di un’area protetta quanto stereotipa, fatta, per lo più, di fantasmi urlanti e case infestate.
Jay (Maika Monroe) è una diciottenne americana di periferia come tante. Una sera le capita di uscire con un ragazzo che le piace e di consumarci un veloce rapporto sul sedile posteriore di una macchina.
Tutto abbastanza ordinario. Quello che accade immediatamente dopo, semmai, è molto meno ordinario. Narcotizzata dal ragazzo con cui ha appena fatto l’amore, Jay si risveglia legata a una sedia in una zona solitaria.
Qui lui le spiega che, da ora in avanti, qualcosa la inseguirà. Qualcosa che lui le ha appena trasmesso e che lei potrà passare ad un’altra persona allo stesso modo. Qualcosa di inquietante che assume fattezze di volta in volta diverse e che farà sprofondare Jay in un incubo dal quale sembra impossibile uscire.
Si parte quindi dalla suburbia americana e da un gruppo di teenager in piena tempesta ormonale (elementi topici di qualunque slasher movie che si rispetti) per calarli in un incubo in cui il male si fa così astratto da non essere neanche più riconducibile a un referente fisico, seppure mostruoso.
Perché il male raccontato in It Follows può celarsi ovunque – in un passante così come in un amico o in un genitore – e questa sua ubiquità ne amplifica a dismisura il portato orrorifico annullando, allo stesso tempo, le possibilità di fuga dei giovani protagonisti.
L’idea, già di per sé adorabilmente malsana, cresce da un punto di vista semantico grazie all’intuizione della trasmissibilità dell’incubo per via sessuale che, ben lungi dal rappresentare una semplice metafora della malattia, ha più a che fare con il concetto di coming of age – già veicolato nell’esordio del regista, The Myth of the American Sleepover, e qui ripreso integralmente – e con i timori legati al sesso come il principale dei suoi riti di passaggio.
Ovvio che in tal senso, il compito più difficile per l’autore fosse quello di rendere palpabile una paura per sua stessa definizione immaterica. Ma Mitchell riesce nell’impresa, forte di una regia attentissima ai dettagli: elegante ed essenziale sebbene capace, all’occorrenza, di autentici pezzi di bravura. Basti pensare alle numerose scene in cui il regista lascia che la macchina da presa giri a 360 gradi sul proprio asse per restituire appieno la percezione di un ambiente in cui le ostilità possono arrivare da ogni direzione.
Ma, come accennato all’inizio, il valore aggiunto di It Follows è nel suo trascendere i limiti dell’horror, tradendo così la volontà di essere percepito più come un film riuscito che come un riuscito film di genere.
Fatte salve alcune ovvie citazioni dei classici (si presti particolare attenzione alla colonna sonora, evidente omaggio a tutto l’universo carpenteriano), nella costruzione delle inquadrature Mitchell sembra guardare molto più a Lynch o a un fotografo come Gregory Crewdson che non all’estetica archetipica del cinema dell’orrore.
Così come il fatto che i protagonisti guardino vecchi B-Movies su televisori vintage mentre leggono L’idiota di Dostoevskij su un ebook reader a forma di specchietto per il make-up contribuisce a creare nello spettatore un senso di sottile discrasia temporale nient’affatto dissimile da quello operato, nei suoi capolavori, da Quentin Tarantino.
Tutto questo per dire che It Follows è, a conti fatti, molto di più di un riuscito film horror. E David Robert Mitchell un giovane autore da tenere assolutamente d’occhio.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
L’horror carpenteriano di David Robert Mitchell: un film che mantiene i brividi che promette.
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