The Legend of Tarzan

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È quasi impossibile trovare qualcuno che non conosca Tarzan. Chi non ha letto libri e fumetti ha almeno visto uno degli innumerevoli film, telefilm o cartoon sul celebre personaggio nato dalla fantasia di Edgar Rice Burroughs e apparso per la prima volta nel 1914.
L’uomo allevato dalle scimmie che si sposta da una parte all’altra delle lussureggianti foreste dell’Africa centrale abbracciato a una liana e il cui richiamo metterebbe in riga chiunque, è ormai parte dell’immaginario collettivo. Quando, nel 1971, l’editore Giunti pubblicò in una serie i romanzi di Tarzan in italiano, a introdurli fu Dino Buzzati. «Ora – commentava lo scrittore – nella pagina scritta Tarzan mi sembra un personaggio più interessante e persuasivo che sullo schermo». Al cinema ad interpretare Tar-Zan (che significherebbe “pelle bianca” in una non meglio identificata lingua scimmiesca) nei quasi duecento film a lui dedicati, da Elmo Lincoln a Johnny Weissmuller, da Lex Barker a Gordon Scott, passando per i più recenti Miles O’Keefe e Christopher Lambert. E adesso è arrivato anche un fisicatissimo (con gli aggettivi ci fermiamo qui) Alexander Skarsgård, figlio maggiore di Stellan e già fascinoso vampiro nella serie True Blood.

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Dopo aver visto The Legend of Tarzan diretto da David Yates (regista dei quattro film finali della saga di Harry Potter e dell’imminente Animali fantastici e dove trovarli), dobbiamo riconoscere che Buzzati aveva ragione. Tarzan, anche a più di cent’anni dalla sua nascita, continua a poter offrire il meglio di sé sulla carta. Analizzando infatti quest’ultima pellicola dedicata al signore delle scimmie, quello che colpisce sin dall’inizio è la volontà da parte di regista e produttori di aver confezionato intenzionalmente un’opera mainstream che cerca di accontentare un pubblico più ampio e variegato possibile, con una particolare attenzione ai giovanissimi. È proprio per questi ultimi che Yates ha un occhio di riguardo: il suo non è un Tarzan eroe, ma quasi un supereroe: comunica con gli animali, si lancia nel vuoto da altezze impensabili: insomma sembra quasi un Superman della Jungla. Ma c’è un’altra novità che riguarda l’aspetto narrativo del personaggio e va ricercata nella scelta di mostrarci un Tarzan già maturo, tornato dall’Africa e già da otto anni un perfetto lord inglese che vive a Londra con la sua Jane (Margot Robbie).

Ma allora dov’è la storia? La storia di questo Tarzan sui generis parte da qui, da Londra, procede a ritroso attraverso qualche flashback in cui viene mostrata la sua infanzia, l’incontro con Jane e qualche altro episodio saliente della sua vita. Poi via, verso il futuro che, neanche a dirlo, porterà Lord Greystoke e la sua bella moglie di nuovo negli inospitali quanto affascinanti territori congolesi, brutalmente colonizzati da belgi e da inglesi nei quali John Clayton III dovrà vedersela con un ometto perfido e criptogay, Leon Rom (nei giorni scorsi girava voce di un bacio tagliato tra lui e Tarzan), che ha le fattezze di Christoph Waltz in modalità villain tutto faccette e poco altro. Insomma, se nei film precedenti e anche sulle pagine dei romanzi la sfida era addomesticare un selvaggio, in The Legend of Tarzan è tutto il contrario: non più da Tarzan a John Clayton, ma da John Clayton a Tarzan, in un tentativo poco riuscito e anche privo di fascino che tenta di raccontare un ritorno dalla civiltà brutta e cattiva, rea di tramutare gli uomini in schiavi e di portargli via le risorse.
Un’operazione difficile da capire, che probabilmente si è persa un po’ per strada, ma che grazie alla sapiente mano di Yates, in alcuni momenti, riesce ad essere persino godibile. Thumb down per la scelta di realizzare scimmie e altri animali in CGI: il paragone con gli empatici scimpanzé in motion capture visti ne L’alba del pianeta delle scimmie e in Apes Revolution non sta proprio in piedi.

Voto 5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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