Cell

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A ormai quasi dieci anni da 1408, John Cusack e Samuel L. Jackson tornano ad abitare sul grande schermo l’universo letterario di Stephen King.
Stavolta tocca a Cell, paradigmatico j’accuse dello scrittore del Maine nei confronti dell’abuso dei telefoni cellulari.
L’idea di base è semplice quanto brillante: un’epidemia di massa che si trasmette attraverso gli smartphone e rende chiunque ne venga colpito soggetto a una furia cieca e assassina. L’unica speranza di salvezza è nel non utilizzo dei telefoni. Mentre il contagio si espande a macchia d’olio, un piccolo gruppo di superstiti si mette in viaggio per raggiungere un luogo sicuro, sempre ammesso che ne esista ancora uno.



kinopoisk.ru

Ora, che Stephen King non sia un grande fan della telefonia mobile – e, in genere, della tecnologia – sembra piuttosto chiaro ma, al netto di un sottotesto sociale dichiaratamente apocalittico ed esemplificato da una sequenza iniziale di notevole impatto visivo, Cell è uno zombie-movie on the road che non si sforza affatto di uscire dall’alveo della serie B più dozzinale.
Ed è tale l’adesione di Tod Williams (Paranormal Activity 2) a un fin troppo rigido canovaccio di fughe in rapida successione da branchi di infetti, teste fatte saltare a colpi di canne mozze e incontri fortuiti con altri superstiti (tutti mediamente stereotipi, dall’adolescente vittima sacrificale al paranoico che nessuno prende mai sul serio) che ci vuole assai poco prima che la fastidiosa sensazione del già visto faccia il suo ingresso in sala.
E non sarebbe neanche un problema se, andando avanti, la storia non iniziasse a perdere pezzi importanti, primo tra tutti il ritmo che, in genere, rappresenta l’elemento cardine in film di questo tipo. Troppe sono infatti le pause che, lungi dall’essere funzionali all’accumulo di elementi perturbanti, appaiono più come rallentamenti forzosi di uno script che non si sapeva come portare avanti.

Chissà, forse sarà anche l’eccesso di sicurezza legato alla matrice letteraria dell’opera (per quanto anche Stephen King, nell’arco della sua lunghissima carriera, non sia stato esente da qualche passo falso) ma sta di fatto che, dopo il succitato incipit, Cell si appiattisce su quelli che, in epoca pre-HBO,  avremmo chiamato standard paratelevisivi.
Se si pensa poi a come il recente 10 Cloverfield Lane riuscisse – con pochi elementi di base, tutto sommato simili – a costruire un meccanismo di tensione pressoché perfetto, ecco che la delusione tende a farsi ancora più cocente.
Parte del problema è senz’altro ascrivibile alla scelta di non aderire in maniera forte ad un unico genere di riferimento, così da restare in bilico tra horror, thriller psicologico e sci-fi per l’intera durata del film.
Allo stesso modo in cui non aiutano le numerose lacune di una sceneggiatura (opera dello stesso King) che non spiega in alcun modo le effettive origini della pandemia, per non parlare di un epilogo che vorrebbe essere aperto ma, di fatto, confonde e basta.
Non un brutto quindi, ma un film assolutamente non all’altezza del valore dei singoli elementi in campo, Samuel L. Jackson a parte che, se ben pagato, recita più o meno ovunque. Il consiglio, semmai, è di recuperare l’indipendente The Signal che nel 2007 (a solo un anno dalla pubblicazione del romanzo di Stephen King) parlava delle stesse identiche cose con risultati molto più inquietanti.

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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