Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Mica facile parlare di Suicide Squad.
Un po’ per l’hype generato nel corso dell’ultimo anno da quello che, essendo il primo film corale della DC Comics, ha in ogni caso l’arduo compito di confrontarsi con gli Avengers di casa Marvel e un po’ perché l’ottimo materiale di partenza era suscettibile di legittimare aspettative altissime.
A ingigantire ulteriormente il peso di tali aspettative è intervenuto il caso che ha posto David Ayer nella scomoda posizione di dover risollevare le sorti di un universo di riferimento all’interno del quale, a conti fatti, Suicide Squad si pone come un ponte semantico tra il pessimo Batman v Superman: Dawn of Justice e la Justice League che verrà.
La storia inizia infatti esattamente dove finiva il film-pasticcio di Snyder (il finto funerale di Superman) e racconta di questa bizzarra accolita di supercriminali messa insieme da un ente governativo chiamato Argus per fronteggiare – previo sconto delle rispettive pene – la minaccia di nuovi ed eventuali metaumani dotati di superpoteri potenzialmente distruttivi.
Iniziamo con il dire che si tratta di un film indubbiamente più riuscito del suo diretto predecessore, non fosse altro per la sua capacità di divertire senza prendersi troppo sul serio.Merito di una sceneggiatura agile e non eccessivamente vincolata ai meccanismi di coerenza interna alla saga che evita di perdersi in spiegoni o riflessioni sulle responsabilità che comporta essere un supereroe né tantomeno di dilungarsi oltremodo sui traumi che, ipoteticamente, hanno segnato i protagonisti nell’arco dell’infanzia.
La prima parte di Suicide Squad è strutturata quindi come una veloce e coloratissima parata pop che ha il compito di presentare, nel minor tempo possibile, questi personaggi così sui generis anche al pubblico meno avvezzo a maneggiare fumetti ed è, incidentalmente, anche il suo momento migliore.
L’uso del montaggio veloce, accompagnato da una sequenza pressoché ininterrotta di hit musicali (si va dai White Stripes a Kanye West, passando per Bohemian Rapsody dei Queen) riporta alla mente gli indimenticati Watchmen – il picco e, allo stesso tempo, l’inizio del baratro artistico per Zack Snyder – e predispone assai bene verso quello che verrà. Poi, però, succede qualcosa e l’entusiasmo iniziale si incrina inesorabilmente.
Il film che si pensava potesse essere un piccolo capolavoro di anarchia fumettistica rientra in fretta e furia nei binari del blockbuster più trasversale e l’iniziale carica eversiva tende a spegnarsi a favore di un ben più usuale profluvio di effetti speciali e scene di lotta comunque spettacolari.
Per farsi un’idea del violento switch che, a un certo punto, segna la pellicola basti pensare a come questo manipolo di psicopatici e devianti di diversa natura si ammansisca, nel giro di una sola notte, fino a vedere oltremodo diluita la sua componente di fiera scorrettezza.
Ecco, il problema principale di Suicide Squad è di uscire dopo che due film come I guardiani della galassia e Deadpool (guarda caso entrambi Marvel) sono riusciti a scardinare dall’interno certe regole non scritte dei cinecomic per subordinare la componente spettacolare a quella, per così dire, più squisitamente comica.
Tutto ciò senza intaccare in alcun modo il classico canovaccio narrativo “eroi VS cattivi”.
Sia quindi chiaro che, in assenza dei due succitati film, il giudizio verso il lavoro di Ayer sarebbe assai meno severo.
Perché il cast è buono (Margot Robbie, soprattutto, è un concentrato letale di ironia, sesso e schizofrenia) e anche un’icona mainstream, per quanto ultimamente un po’ bollita, come Will Smith riesce a rimettersi in gioco rimescolando le carte della sua comunque scarsa espressività. Il difetto maggiore di Suicide Squad però è un altro e riguarda il non sfruttare appieno il suo personaggio più forte: quel Joker che, nell’interpretazione di Jared Leto, doveva far dimenticare i suoi due precedenti illustri Jack Nicholson e Heath Ledger.
In realtà Leto fa davvero un ottimo lavoro nella sua rielaborazione a metà strada tra il gangsta rap e lo steampunk di uno dei villain più iconici della storia del fumetto (e del cinema) ma la permanenza dell’attore premio Oscar sullo schermo è talmente risicata – una quindicina di minuti al massimo – da non lasciare alcun segno.
Ciò che resta è uno strano patchwork che manca di coraggio ma porta comunque a casa il risultato e, cosa assai importante dopo Batman v Superman: Dawn of Justice, non annoia. Molto meno peggio di quanto non dicano le prime critiche americane ma anche enormemente al di sotto delle aspettative di cui si parlava all’inizio.
Con buona pace dei talebani della DC che hanno lanciato una petizione per chiedere la chiusura del sito Rotten Tomatoes, reo di aver assegnato a questo Suicide Squad un indice di gradimento del 35%.
NdR: Ormai è quasi pleonastico ma la raccomandazione è sempre la stessa, non abbandonate la sala prima della fine dei titoli di coda.
Voto 6
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
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