Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ne 1996 due invasioni aliene minacciarono l’umanità.
Una era quella protagonista del delizioso divertissement burtoniano Mars Attacks! e l’altra del capostipite dello Sci-Fi più tamarro che all’epoca si fosse mai visto e di cui questo Independence Day – Rigenerazione rappresenta il didascalico e catastrofico sequel.
E sia ben chiaro, catastrofico non per le pur numerose scene di distruzione ma proprio perché è un film pessimo.
Un sequel fuori tempo massimo di cui nessuno sentiva l’esigenza; nulla di più che un inutile souvenir a uso e consumo di chiunque ancora abbozzi un sorriso nostalgico al ricordo di Will Smith che prende a cazzotti un extraterrestre.
Will Smith che poi è l’unico grande assente del cast originale, evidentemente spinto a tirarsene fuori da uno script che non riesce ad apportare una novità che sia una a un canovaccio del tutto speculare a quello del primo Independence Day che già di suo non brillava particolarmente per originalità.
Il film inizia quindi ai giorni nostri, a vent’anni dall’attacco che ha sterminato una discreta porzione del genere umano.
Il Presidente degli Stati Uniti è ora una donna che delega qualsiasi decisione importante all’Esercito mentre l’ex Presidente Whitmore (Bill Pullman), dopo aver salvato il Pianeta, è chiuso in una casa di cura. È proprio lui il primo a paventare la possibilità di una nuova ondata aliena, ovviamente ignorato da chiunque perché ritenuto fuori di testa.
Poi c’è Jeff Goldblum che cerca di capirci qualcosa mentre flirta con una Charlotte Gainsbourg capitata lì per puro caso.
Completano il quadro un signore della guerra sudafricano appassionato di semiotica aliena, il fratellino sfigato di Thor che fa l’astronauta bravo ma refrattario alle regole e un altro che deve ripetere ogni dieci minuti di essere il figlio del personaggio che fu di Will Smith per motivare la propria presenza sullo schermo.
Tutto ciò in un lunghissimo e noioso incipit in cui Emmerich cerca inutilmente di creare pathos nell’unico modo che gli è congeniale, ovvero affastellando esplosioni, fughe rocambolesche, dialoghi sempre al limite del ridicolo involontario (“quello che va su deve tornare anche giù”) e un finale abborracciatissimo messo lì alla bell’e meglio.
Ma il problema principale di Independence Day – Rigenerazione non è tanto di essere brutto, quanto di nascere come un film già vecchio, incurante dei cambiamenti che il concetto di blockbuster ha affrontato da quando il pubblico ha iniziato a chiedere qualcosa di più che fuochi d’artificio e metropoli messe a ferro e fuoco.
E, per quanto sia comprensibile la volontà di Roland Emmerich di tornare a battere cassa dopo il disastro di Stonewall – per la cronaca: l’unico film sui diritti LGBT che sia riuscito a scontentare la stessa comunità LGBT – non se ne può giustificare l’estrema svogliatezza in termini di scrittura.
E dire che ci si sono messi in cinque (in mezzo ci è finito pure James Vanderbilt, autore di Zodiac e regista del buon Truth – Il prezzo della verità) per buttare giù questo abbecedario di luoghi comuni della fantascienza più elementare che non riesce a salvarsi neanche quando tenta la via di fuga dell’autoironia.
A parte quando ci si ritrova a fare il tifo per gli alieni, ma immagino che questo non sia un effetto voluto.
Voto 2
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