Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
È una mano sicura, quella di Paul Greengrass, regista di tre capitoli su cinque (incluso quest’ultimo) della saga di Jason Bourne. Una mano che sa perfettamente dove andare a parare e che sembra non avere tempo né voglia di perdersi in chiacchiere. Decisamente meno riflessivo e contemplativo del primo capitolo del franchise, (quel The Bourne Identity del 2002 di Doug Liman), la pellicola diretta da Greengrass, asciutta e concitata, regala azione a livelli altissimi. Lo stare addosso ai personaggi con piani estremamente ravvicinati, il montaggio serrato, le scene di massa in cui la componente action raggiunge vette forse ancora mai toccate, sono gli elementi che rendono il ritorno sul grande schermo del personaggio creato dalla penna di Robert Ludlum, qualcosa di necessario.
Jason Bourne (Matt Damon) stavolta è costretto ad uscire allo scoperto. Tormentato dal passato e ossessionato dalla morte del padre, ha bisogno di far luce su alcuni fatti della sua adolescenza. Ma per lui non sarà facile: da un lato dovrà vedersela infatti con il direttore della CIA Robert Dewey (Tommy Lee Jones) e con la sagace agente Heather Lee (Alicia Vikander, alle prese con un personaggio granitico che doma alla perfezione), mentre dall’altra lo attende un agguerritissimo sicario (Vincent Cassel) che vuole farlo fuori. Tra un’Atene attanagliata dalla crisi e stretta nella morsa dei manifestanti, Reykjavik, Las Vegas, Roma, Berlino e Londra, l’ex agente della CIA dovrà ricostruire il suo passato attraverso indizi, flashback, fascicoli e informazioni top secret. Non dimentichiamo, poi, che questo è il primo film della saga post Wikileaks, evento che ha decisamente stravolto il mondo dello spionaggio: tematica quantomai attuale e scottante ben resa da una sorta di Mark Zuckerberg indiano (Riz Ahmed) che vuole vendere alla CIA i dati di milioni di utenti in nome di una sicurezza pubblica inattaccabile, almeno così sostiene.
Narrativamente nulla di nuovo, almeno rispetto ai primi film del franchise: Matt Damon che non ricorda quasi nulla, un nemico da contrastare (che in realtà sono due, uno fisico e nerboruto, l’altro più sottile, che lo ostacola a colpi di codice binario) e tanta, tanta azione. In realtà, però, in questo Jason Bourne i personaggi risultano essere quasi evanescenti, riescono a vivere e ad essere reali solo in funzione delle azioni che compiono e non semplicemente perché li vediamo sullo schermo. C’è inoltre una solidità strutturale e una perfetta sintonia tra lo script, la regia e il montaggio, che lavorano in perfetta sinergia e il motivo è presto detto: la sceneggiatura è stata scritta a tre mani da Paul Greengrass, da Matt Damon e da Christopher Rouse, storico Editor dei film di Greengrass, che ha curato il convulso montaggio della pellicola, contribuendo in modo decisivo a renderlo tanto spettacolare e adrenalinico.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Lo smemorato ex agente della CIA torna alla ribalta in un film dal ritmo serrato e con un montaggio da manuale.
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