Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Il ciclone Bridget è tornato ed è più in forma che mai. A dodici anni dall’ultimo film, quel Che pasticcio Bridget Jones che ci aveva fatto storcere un po’ il naso per non essere riuscito a eguagliare il primo capitolo in quanto a divertimento, questo Bridget Jones’s Baby entra a gamba tesa nella trilogia, divenendo a tutti gli effetti il migliore dei film sulla single pasticciona più amata del cinema.
Ora Bridget ha 43 anni (una “zilf”, zitella+milf), lavora nella produzione di un programma televisivo di news, è dimagrita e ha smesso di fumare. Ma certe cose non cambiano e la nostra eroina si ritrova a festeggiare l’ennesimo compleanno da sola in pigiama, nel suo salotto sulle note di Jump Around, perché l’ottimismo è l’ultimo a morire. Durante un weekend con la sua amica Miranda (un’esilarante Sarah Solemani), Bridget incontra Jack Qwant (Patrick Dempsey) con il quale trascorre una focosa notte di passione e pochi giorni più tardi, vive un inaspettato ritorno di fiamma con Mark Darcy (Colin Firth). Due incontri che le lasciano una sorpresa: un babino in arrivo. Ma… Chi sarà il padre?
Ora che è entrata negli anta, Bridget ha smesso di piangersi addosso. Ma la maturità e la saggezza (si fa per dire, parliamo sempre di Jones, come la chiamava il playboy Daniel Cleaver/Hugh Grant che questa volta non ha ceduto alle lusinghe dei produttori) della nuova Bridget non scalfiscono minimamente l’appeal del personaggio, anzi. Il ritorno in cabina di regia di Sharon Maguire – il primo film lo aveva diretto lei – sembra aver ridato smalto al franchise, anche se il merito è soprattutto di una scrittura tanto fresca quanto scorretta ad opera dell’autrice dei romanzi Helen Fielding, di Dan Mazer (sceneggiatore e produttore di campioni di irriverenza come Brüno e Borat) e di Emma Thompson che si è ritagliata anche uno spassoso ruolo nel film. Nient’affatto fedele al romanzo (Bridget Jones. Un amore di ragazzo, il terzo libro della serie, è tutt’altra cosa rispetto al film), Bridget Jones’s Baby è esattamente il salto che andava fatto. Le tragicomiche avventure di una single londinese perennemente inadeguata in cerca dell’uomo giusto, si trasformano in quelle di un’imperfetta ma tenace quarantenne costretta dagli eventi ad abbandonare la ricerca del principe azzurro, ritrovandosi a dover far fronte a ben altri problemi di carattere assai più pratico.
I primi tre quarti di Bridget Jones’s Baby sono un compendio di come dovrebbe essere una commedia brillante, solo nel finale la struttura inizia a scricchiolare un po’, per poi riprendersi con un colpo di coda inaspettato nel finale.
Si ride molto, ci si commuove anche un po’ e il rivedere i volti di Renée Zellweger (esilarante nonostante in alcune inquadrature risulti davvero irriconoscibile), del sempre impeccabile Colin Firth alias Mr. Darcy e della new entry Patrick Dempsey, ha un che di rassicurante. Sono cresciuti, invecchiati, ma in fondo sono rimasti sempre gli stessi, proprio come noi che li guardiamo, e quel maglione con l’alce custodito gelosamente in fondo ad un cassetto da Mark ne è la prova.
Bentornata Bridget, ci eri davvero mancata!
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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