Snowden

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Questa volta è un po’ in ritardo Oliver Stone. Il suo ultimo film (nelle nostre sale a fine novembre anche se negli States è uscito a settembre), arriva infatti a più di un anno di distanza dal bel documentario Citizenfour, sempre su Edward Snowden, che ha permesso alla regista Laura Poitras di vincere l’Oscar per il miglior documentario nel febbraio 2015. Le vicende dell’ex consulente della NSA – l’agenzia per la sicurezza degli Stati Uniti – poi diventato la fonte dell’inchiesta che ne ha rivelato i programmi di sorveglianza, nelle mani di Stone è diventato un biopic sull’uomo che è stato accusato dal suo Paese di origine di spionaggio, anche se viene da molti considerato come un eroe. Paladino della giustizia o criminale dunque?



Per Stone, Ed Snowden ha agito a tutela di un diritto. La posizione del regista di PlatoonJFK – Un caso ancora aperto appare piuttosto chiara: la storia dell’uomo che ha dimostrato al mondo di aver sacrificato tutto quel che aveva per non consentire al Governo USA di minare la libertà del web e la privacy dei cittadini di tutto il mondo con un meccanismo di sorveglianza massiva, deve averlo proprio conquistato. Da questo punto di vista Snowden è un personaggio che Stone non poteva proprio lasciarsi sfuggire, dato che incarna l’altra America, la faccia meno sporca (ma non per questo del tutto pulita) di un paese che si tiene in piedi su mille contraddizioni e che, dopo l’11 settembre, ha ufficiosamente sdoganato l’utilizzo di strumenti di sorveglianza tanto imponenti da rimettere in discussione il concetto stesso di democrazia.

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La sceneggiatura scritta a quattro mani da Stone e Kieran Fitzgerald è composta da tre linee narrative: la scoperta da parte di Snowden di un tipo di sorveglianza intrusiva e globale del Governo che non controlla solo personaggi in vista ma anche i normali cittadini, quella dello svelamento di quanto il whistleblower è venuto a sapere lavorando su
progetti top-secret e quella della sua relazione con Lindsay Mills (Shailene Woodley) e degli alti e bassi che ha avuto a causa soprattutto della professione di lui. Ed è proprio questa terza parte a funzionare meno: certo c’era bisogno di un elemento più soft che spezzasse la tensione delle scene “informatiche” e che riducesse il numero di quelle girate davanti a un pc, ma gli idilli e i litigi tra Edward e la sua bella non possiedono un decimo della potenza degli argomenti trattati nelle altre due linee narrative. Anche il ritmo generale della pellicola risente di questa scelta, soprattutto nella parte centrale, e le oltre due ore di durata non aiutano.
Ma in Snowden non è proprio tutto da buttare, perché rimane l’intenzione, comunque lodevole, di sollevare il problema della sicurezza informatica attraverso una pellicola mainstream piena di volti celebri – oltre a Joseph Gordon-Levitt anche Rhys Ifans, Tom Wilkinson e Nicolas Cage – con una distribuzione certamente più ampia rispetto al doc di Laura Poitras (e che, nonostante l’Oscar, è stato comunque visto da un pubblico piuttosto ristretto).

La domanda da porsi allora è: c’era davvero bisogno di raccontare un’altra volta la storia dell’ormai celebre whistleblower, reo di aver gridato rivelato al mondo che siamo tutti, continuamente, sotto sorveglianza, anche se non abbiamo nulla da nascondere e se non costituiamo un pericolo per la sicurezza statunitense? Sinceramente no. Narrativamente le scelte di Oliver Stone non convincono e, soprattutto, non sostengono una storia potenzialmente fortissima, che finisce invece per annoiare e deludere.

Voto 5,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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