The Birth of a Nation

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The Birth of a Nation è un film importante, così come è molto importante che esca adesso, alla luce delle sacche di intolleranza che si credevano ormai relegate a un triste passato e che, invece, la candidatura di Trump alle prossime presidenziali ha drammaticamente riportato in superficie.
Scritto, diretto e interpretato da un attore (Nate Parker) al suo esordio dietro la macchina da presa, il film racconta infatti la storia (vera) di Nat Turner, schiavo a cui viene insegnato a leggere così da poter studiare la Bibbia e diventare una sorta di guida spirituale per i suoi compagni di schiavitù.  Fino al giorno in cui l’uomo realizza che, per ogni passo delle sacre scritture che i bianchi utilizzano per giustificare l’orrida pratica schiavismo, ne esiste un altro che professa al contrario l’uguaglianza tra le razze. A quel punto basta davvero poco perché la miccia del dissenso prenda fuoco fino a sfociare nella rivolta. La prima insurrezione organizzata da schiavi ai danni dei loro padroni.



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Oltre ad essere un film importante, però, The Birth of a Nation è anche materiale rischioso.
Perché incentrato su una tematica e un periodo storico già ampiamente sviscerati da Steve McQueen con il recente 12 anni schiavo e soprattutto perché, in mani poco esperte, l’insidia del meccanismo ricattatorio e dell’indignazione a comando è sempre dietro l’angolo.
Invece Parker supera brillantemente la prova (del resto al Sundance il Premio del Pubblico non credo lo si vinca facilmente) con un’opera complessa che, sotto la patina di revenge movie, prova a descrivere le storture odierne raccontando quelle di ieri, con un processo per molti versi simile a quanto fatto da Scorsese ai tempi di Gangs of New York che spiega anche il ricorso all’omonimia con il capolavoro del 1915 di D.W. Griffith.

Sebbene infatti la figura di Nat Turner, di fatto una sorta di Braveheart afroamericano, venga delineata con connotati forse anche troppo cristologici – in più di una scena c’è proprio un fascio di luce che lo illumina dall’alto come a evidenziare la sua natura di eletto – il film è un discreto pugno nello stomaco. Ci sono immagini di una durezza inaudita, durante le quali è quasi impossibile non coprire gli occhi. Ma è un uso della violenza non furbo e funzionale a una storia che è violenta per sua stessa natura.
E poi c’è una sincera e furiosa passione che trasuda letteralmente dalle immagini di questo The Birth of a Nation e che lo rende una visione in qualche modo scomoda ma necessaria.
Con tutti i limiti di un film che, prima ancora che far riflettere o anche solo intrattenere, è concentrato sulla beatificazione del suo protagonista.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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