Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
E’ stata definita la peggiore cantante della storia e la sua fu una vicenda che, nell’America tra le due guerre, seviziò le orecchie di numerosi membri dell’alta borghesia newyorkese. Le bizzarre gesta di Florence Foster Jenkins, leggendaria ereditiera con il sogno di diventare una cantante lirica rivivono in questa commedia brillante diretta da Stephen Frears e interpretata con disinvoltura da Meryl Streep nei panni della protagonista e da Hugh Grant, in quelli del marito St. Clair Bayfield. Mecenate e amante della musica, la Jenkins fu sempre protetta da St. Clair e dal suo entourage, pensando davvero di avere una voce da usignolo. Ma quando, a 76 anni, decise di esibirsi in un concerto pubblico alla Carnegie Hall, davanti a 3000 persone, St. Clair non riuscì a mantenerla lontana dalle critiche e dalla derisione di pubblico e critica.
Divertente, fresco e ben recitato, Florence arriva a breve distanza da quel Marguerite di Xavier Giannoli, presentato lo scorso anno a Venezia e in cui negli appariscenti abiti della soprano stonata c’era Catherine Front. I due film si somigliano davvero molto, forse un po’ troppo, anche se la Streep riesce a caratterizzare il personaggio della Jenkins in modo unico, con un’ironia e uno sforzo di ugola non indifferente (chi l’ha vista e sentita cantare in Mamma mia o in Into the Woods se lo può immaginare). Hugh Grant è un perfetto St. Clair, sempre pronto a sostenere gli svolazzi e le cadute della diva, nonostante il loro sia un matrimonio platonico. Tra i due attori regna una perfetta alchimia e i siparietti spassosi non mancano.
Se la confezione risulta piuttosto impeccabile (dalla solida regia di Frears, ai notevoli costumi, così come la fotografia di un veterano come Danny Cohen – Il Discorso del Re, Les Misérables, The Danish Girl quello che non convince in Florence è allora l’eccessiva frivolezza di alcuni passaggi che, nonostante il tono volutamente leggero dato alla pellicola, in alcuni momenti la fanno soffrire di un’eccessiva vacuità.
Voto 6,5
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