Quel bravo ragazzo

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Quel bravo ragazzo ripropone l’annoso problema delle spalle comiche e, nello specifico, di come il più delle volte queste funzionino proprio in virtù del loro essere periferici. Perché la spalla, per sua stessa natura, trova senso solo e soltanto nell’accompagnare un elemento comico portante senza il quale, molto semplicemente, smette di significare. E quindi anche di esistere. Stando bene attenti a non tirare in ballo Peppino De Filippo – che di Totò non è mai stato semplice spalla, ma vero e proprio partner in crime – chi avrebbe mai voglia di vedere un film che abbia come protagonista Mario Castellani, Carlo Monni o Novello Novelli? Io sinceramente no. Ragion per cui anche il buon Herbert Ballerina, che in compagnia di Maccio Capatonda pure due risate riesce a strapparle, cade rovinosamente su questo progetto costruito in toto attorno a lui.
La storia è pochissima roba: il solito teatrino degli equivoci in cui un moderno Candide (non ce ne voglia Voltaire) si ritrova al centro di un intrigo in cui le persone di cui dovrebbe fidarsi sono in realtà dei mafiosi che cercano in tutti i modi di fargli la pelle. Alzi la mano, a questo punto, chi non ha pensato a Johnny Stecchino. O, al limite, a Pif.



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Laddove infatti quest’ultimo, con il suo irritante In guerra per amore, cerca di vampirizzare gli aspetti più riflessivi del cinema di Benigni, Enrico Lando (I soliti idioti) ne riprende i toni più infantilmente farseschi sperando basti per imbastirci su novanta minuti scarsi di film.
In fondo che ci vuole, bastano dei bambini, a evidenziare come l’innocenza del protagonista riesca a comunicare appieno solo con il mondo dell’infanzia, e tutti i caratteristi che ci si immagina possano essere in un film sulla mafia; il che vuol dire Tony Sperandeo, Ninni Bruschetta e Luigi Maria Burruano.
Il risultato, forse anche per esplicita volontà degli stessi autori, non va ovviamente oltre la commediola da risate a denti stretti che ci si aspetta.
Peccato, perché se la follia veicolata a tratti dalla fisicità fuori luogo e dalla recitazione ossessivamente monocorde di Herbert Ballerina fosse stata supportata da uno script meno canonico nel riciclare canovacci ormai usurati, forse ne sarebbe potuto uscire qualcosa di buono.
Perché, come spesso accade, il senso di Quel bravo ragazzo – e mai citazione da Scorsese apparve più offensiva – è da ricercarsi a latere, in una sorta di tacita ammissione di incapacità da parte del protagonista che, in alcune scene, sembra quasi rintanarsi ai margini dell’inquadratura, rivendicando così il proprio ruolo di spalla a dispetto di una storia che lo vorrebbe invece al centro dell’azione.

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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