Poveri ma ricchi

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Arrivato al suo decimo film da regista, Fausto Brizzi abbandona anche gli ultimi scampoli di quella commedia romantica e/o generazionale che ha perseguito finora con risultati alterni e si abbandona alla comicità tout court con questo Poveri ma ricchi.
La notizia è che, raggiunta finalmente la piena consapevolezza di non essere un “autore”, Brizzi riesce nell’impresa di costruire un film che diverte proprio perché non si vergogna della sua matrice più popolare ma anzi la rivendica e, allo stesso tempo, rivitalizza la maschera ultimamente appannata di un Christian De Sica qui in grande spolvero. Paradossalmente la vera sorpresa del film è proprio quest’ultimo.
Svincolato dagli umilianti teatrini monodimensionali dei cinepanettoni a episodi, De Sica è infatti libero di gigioneggiare come lui solo sa fare in un ruolo costruitogli praticamente addosso. Fortuna vuole inoltre che, per la prima volta, la sua vis comica sia assecondata da un parterre di spalle di buon livello: innanzitutto la magnifica Lucia Ocone che sostanzialmente ripropone il personaggio di (adorabile) burina che l’ha resa nota in TV, un Enrico Brignano meno strabordante rispetto ai suoi standard abituali e la piacevolmente ritrovata Anna Mazzamauro.



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La storia è di una semplicità lapalissiana, tutta incentrata sulla dicotomia tra poveri (ignoranti e caciaroni quanto si vuole ma indubbiamente simpatici e di cuore) e i ricchi del nuovo millennio, quelli sì davvero volgari nel loro snobismo salutista e sinistrorso.
I Tucci sono per l’appunto una famiglia povera di un piccolo paese a metà strada tra Roma e Frosinone composta da marito, moglie, una figlia che si esprime a suon di hashtag e un figlio più piccolo costretto a fingersi idiota pur di rendersi comprensibile ai genitori.
Con loro vivono il cognato, perito agrario nullafacente, e una nonna arzilla e sboccata patita di serie TV. La vita dei Tucci cambia radicalmente quando un giorno apprendono di aver vinto cento milioni di euro.
Quando la notizia della vincita milionaria comincia a spargersi a macchia d’olio in paese, la famiglia è costretta a scappare lì dove pare che tutti i ricchi debbano vivere: a Milano.

Quasi remake del francese Les Tuche, Poveri ma ricchi è un film allegro e sgangherato, che rivendica la propria natura popolare già nel suo titolo, così simile al Poveri ma belli con cui Dino Risi inaugurò una stagione di cinema indiscutibilmente medio che lasciava ad altri autori il compito di fare denuncia sociale e puntava dritto all’intrattenimento trasversale e quindi al botteghino.
Brizzi diverte dunque anche con le sue facilonerie e i suoi stereotipi, proprio perché non pretende mai di somigliare alla realtà, a nessuna realtà. Sebbene in entrambi i casi si utilizzi la figura dell’idiot savant come archetipo positivo che attraversa indenne (e quasi inconsapevolmente) le storture di un presente che non ha gli strumenti per capire, qui non c’è traccia del tentativo di critica di un Checco Zalone. No, qui si ride e basta e il senso di stupore che pervade i Tucci di fronte allo skyline di Milano non è altro che una moderna declinazione del “noio volevan savoir” di Totò e Peppino.
E, in un periodo storico in cui chiunque scriva una sceneggiatura piena zeppa di luoghi comuni usurati (leggi pure Luca Miniero) si sente investito del compito di fare denuncia sociale, ben venga un Fausto Brizzi che riscopre il gusto del far ridere per far ridere.

Voto 6

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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