Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Non vi è una particella di vita che non abbia poesia all’interno di essa
(Gustave Flaubert)
A quasi tre anni dal magnetico Solo gli amanti sopravvivono, Jim Jarmusch torna a raccontare una delle sue storie, così diverse dal resto del cinema a stelle e strisce che riempie le sale e, ancora una volta, il regista dell’Ohio concentra il suo interesse sull’American Dream, visto però dalla prospettiva di chi non è riuscito a farne parte.
Paterson (un incredibile Adam Driver) lavora come autista dell’autobus nella città di Paterson, nel New Jersey. Ogni giorno fa la stessa strada, osservando la città che si muove e prende vita attorno a lui. Scrive poesie durante la pausa pranzo, porta a spasso il suo cane, Marvin, si ferma in un bar a bere una birra e poi torna a casa da Laura (Golshifteh Farahani), donna dai mille entusiasmi che incoraggia la passione di lui verso la poesia.
Da sempre Jarmusch si diverte a giocare con i generi cinematografici, sovvertendoli di volta in volta e regalando a chi guarda soluzioni spesso spiazzanti: si va dal road movie (Mystery Train, Broken Flowers), al western (Dead Man), passando per il dramma sentimentale (Solo gli amanti sopravvivono). Il suo è un cinema che elogia l’individuo, rispettandone tempi e azioni, e che si concentra su quell’attimo che fa da collante tra due azioni. Con Paterson questa tradizione continua: il film è infatti un inno alla ritualità, a quei gesti rassicuranti compiuti in automatico, ma anche alla componente aulica rintracciabile all’interno di situazioni banali, come può esserlo una conversazione ascoltata per caso che diviene poesia.
Un’esistenza circolare, quella di Paterson e di Laura, fatta di poco e niente, priva di ogni tecnologia (niente cellulari, né TV) e scandita da una routine che smette di essere cinema nel momento stesso in cui non accoglie al suo interno alcun conflitto e non si affanna a dover mostrare a ogni costo i passaggi chiave di una storia, preferendo invece soffermarsi sulla bellezza del nulla. La totale mancanza di ambizione da parte di Paterson (il fatto stesso di vedere un personaggio di un film ossessionato dalla scrittura che non vuole pubblicare i suoi lavori è alquanto straniante), la sua dedizione al lavoro e alla donna che ama e la totale incapacità a saper gestire ogni minimo imprevisto lo rendono un perfetto antieroe del quotidiano.
Da un lato c’è il declino della società occidentale, la consapevolezza della crisi del sistema, dall’altro c’è la speranza del cambiamento che passa attraverso l’attenzione nei confronti del singolo, visto come individuo a sé e non più come parte di un sistema fagocitante.
È come se Jarmusch volesse spiegare al mondo, all’America in particolare, che un altro modo di vivere è possibile: ancorandosi a una condotta che fa letteralmente a pezzi le ambizioni e la fame che da sempre alimentano il Sogno Americano e trasformandoli in attimi pazienti di vite invisibili, pacate e non omologate.
Voto 8
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