I migliori film del 2016 secondo Fabio Giusti

Di Fabio Giusti
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10. Jason Bourne – Paul Greengrass

Jason-Bourne

Il Mad Max: Fury Road di quest’anno.
Paul Greengrass e Matt Damon tornano insieme per questo  quinto film della saga di Bourne e se ne escono con un capolavoro di sperimentazione febbrile mascherato da blockbuster. Un film tutto incentrato sulla dispersione prospettica e sulla costruzione di scene inimmaginabili in cui il protagonista non è neanche l’attore principale bensì il direttore del montaggio Christopher Rouse, non a caso anche autore della sceneggiatura.



 

9. Il caso Spotlight – Tom McCarthy

Inserendosi perfettamente nel solco tracciato alla fine degli anni Settanta da autori come Sidney Lumet e Alan J. Pakula, Il caso Spotlight  prescinde dalla natura di ciò che è oggetto della sua indagine – anzi, la dà quasi per scontata – per concentrarsi invece sui complicati e spesso delicatissimi meccanismi che portano alla costruzione di una notizia.

 

8. It Follows – David Robert Mitchell
David Robert Mitchell si prende i suoi rischi e realizza il film horror dell’anno. Un’opera profondamente inquietante che, pur prendendo le mosse da alcuni dei luoghi comuni che chiunque bazzichi il cinema “di paura” conosce a menadito, ragiona sui meccanismi del perturbante con una lucidità di sguardo sconosciuta a molti autori ben più navigati, James Wan compreso.

 

7. Sing Street – John Carney

Sing_Street

C’è un momento preciso che appare determinante nel personale coming of age di Cosmo, il giovane protagonista di Sing Street, ed è quando la ragazza a cui muore dietro gli chiede di scrivere una canzone allegra e lui le risponde che non può, perché in realtà si sente triste.
“Il tuo vero problema è che non sei felice di essere triste” ribatte lei.
A spiegare meglio il concetto ci pensano poi le note di “In Between Days” dei Cure ed ecco che, in un’unica scena, Carney racchiude il senso di qualsiasi adolescenza.

6. Sully – Clint Eastwood

Il vecchio Clint indovina il suo miglior film dai tempi di Gran Torino con questa storia, realmente accaduta, di un pilota di aerei che, pur avendo salvato un intero equipaggio da morte certa, viene messo alla gogna da un sistema che ha ormai sostituito l’automazione al libero arbitrio. I pochi secondi sufficienti a Chesley “Sully” Sullemberg per decidere la sorte di 155 persone vengono sezionati, ricomposti e dilatati da ognuno dei possibili punti di vista in un capolavoro dolente (e eastwoodiano fino al midollo) sull’eroismo silenzioso di chi, ogni giorno, svolge il proprio lavoro con coscienza e dignità.

5. Zootropolis – Byron Howard, Rich Moore

Zootropolis

La Disney torna a raccontare una storia popolata da animali antropomorfi in un film perfettamente bifronte. Se da un lato, infatti, il mood scanzonato e il tipo di animazione potrebbero dare l’idea di un’opera dichiaratamente indirizzata ad un pubblico più “bimbo” rispetto alla media degli ultimi anni, basta grattare appena un po’ la colorata patina di superficie perché emerga la reale natura di Zootropolis: il film più politico mai realizzato dallo studio di animazione.

4. È solo la fine del mondo – Xavier Dolan

Della maturità stilistica del ventisettenne Dolan si dice ormai già da anni, ma qui la sua sensibilità di autore si fa impressionante. È palese nel modo in cui scandaglia gli spazi, filmando la consistenza della polvere sedimentata sui ricordi del protagonista. La stessa maturità con cui la macchina da presa, incollata ai personaggi in una serie pressoché ininterrotta di primissimi piani, fa di È solo la fine del mondo un film pieno di parole in cui a pesare sono però soprattutto i silenzi.

3. Steve Jobs – Danny Boyle

Si può essere un genio senza per forza smettere di essere anche una brava persona?
Questo sembra chiedersi il film di Danny Boyle (e di Aaron Sorkin autore del magnifico script) per tutte le sue due ore di durata e la riuscita, perfetta, è garantita proprio da come si guardi bene dal rispondere a tale domanda, delegando la responsabilità di qualsiasi giudizio morale al pubblico.
Il capolavoro più sottovalutato dell’anno.

2. Revenant – Redivivo – Alejandro González Iñárritu

Climax artistico di un autore che non si è mai preoccupato di nascondere la propria smisurata ambizione, Revenant è un tour de force stilistico e produttivo che ha ben pochi precedenti nella storia del cinema. Sorta di Apocalypse Now degli anni 10 che sommerge letteralmente lo spettatore fin quasi a mozzargli il respiro, sprofondandolo nell’inospitalità di luoghi che fanno ancora più paura proprio perché sappiamo essere reali.

1. The Hateful Eight – Quentin Tarantino

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Un capolavoro, l’ennesimo, con cui Tarantino abbandona in parte la componente più ludica della sua scrittura per abbracciare istanze politiche prima mai così marcate, fino a sfidare l’ossimoro con un film totalmente incentrato sul concetto di identità pur raccontando una storia in cui quasi nessuno è in realtà ciò che dice di essere.

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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