I migliori film del 2016 secondo Andrea Bosco

Di Andrea Bosco
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10. Monte Amir Naderi

Monte

Cinema di impeto e di natura, di suono e di furia, di insostenibili crescendo e di orgasmi liberatori, primigenio ed elementale come l’acqua, il vento e la sabbia che furono e la pietra che è oggi: il massimo regista iraniano in attività si conferma, parafrasando le parole di Fitzcarraldo, un uomo “con sogni così grandi da muovere le montagne”.
E questa volta, al termine della sua nuova impresa – che resta paradossalmente l’unico film italiano rilevante della stagione – c’è proprio da prenderlo in parola.



9. La canzone del mareTomm Moore

Sensazionale caleidoscopio a colori tenui dall’enorme impatto visivo ed emotivo, immerso nei suoi tratti minimali, nelle sue simmetrie radiali e nel suo autentico folklore ancestrale: dopo il folgorante esordio di The Secret of Kells, con la sua nuova, struggente e malinconica fiaba senza tempo sospesa fra tradizione e modernità, fra dolore della perdita e gioia della vita, l’irlandese Tomm Moore si impone, insieme a Sylvain Chomet, come il più originale e pittoresco poeta dell’animazione europea contemporanea.

8. Il club – Pablo Larraín

L’ennesima vetta del cinema profondamente politico e mai, più banalmente, ideologico di uno dei più lucidi sociologi del vivaio filmico d’Oltreoceano: rara sbirciata sull’oggi di un autore da sempre allo scandaglio delle voragini più profonde della Storia, Il club è un altro inesorabile, nerissimo incubo su quella cesura fra civiltà e barbarie che è l’assenza di coscienza, una terribile commedia, cupa e compassionevole, problematica e intransigente, sulla fallibilità di un Uomo destinato all’eterno Purgatorio.

7. Un padre, una figlia – Cristian Mungiu

Aggirandosi nel limbo di una società ancora in bilico fra le macerie post-comuniste del passato e la burocrazia europeista del futuro, l’alfiere della cinematografia rumena del nuovo secolo raggiunge la piena maturazione e sigla l’apologo impietoso, asfissiante e di ineccepibile controllo formale di un Paese ammorbato da una corruzione, da un clientelismo e da una stagnazione che oltrepassa i confini transgenerazionali.
Cinema etico al massimo del suo potenziale, dotato di eccezionale equilibrio e di chirurgica precisione.

6. The Assassin – Hou Hsiao-Hsien

The_Assassin

Il clamoroso ritorno del caposcuola della new wave taiwanese è un ipnotico e sfolgorante saggio di poesia dell’immagine, un’esperienza immersiva e meditativa che sfrutta l’identità e i codici del wuxia e del dramma chuánqí per trascinare lo spettatore in un seducente gioco di sintesi narrativa e visiva, fra ellissi vorticose, tableaux vivants e astrazione totale.
Un racconto allo stesso tempo sofisticatissimo ed essenziale, arcano e lampante, linguaggio filmico di irraggiungibile eleganza nella sua forma più pura e incontaminata.

5. Nick Cave: One More Time with Feeling – Andrew Dominik

Il film-confessione del Principe delle Tenebre della canzone è uno straordinario scavo introspettivo negli abissi del lutto e della crisi personale che, con l’alibi del backstage e del videoclip, si traduce in un lancinante atto di dolore di incommensurabile generosità umana e creativa e, al tempo stesso, in una rielaborazione artistica
che sfida i limiti tecnici ed espressivi della messinscena e che esplora con un pudore che sa di preghiera e con un utilizzo della terza dimensione che sfocia nel metafisico i meandri dello studio di registrazione e dell’anima.

4. Al di là delle montagne – Jia Zhangke

Appropriandosi dei canoni dell’epopea storica e radicalizzandoli fino al corto circuito, Zhangke, con una libertà immaginativa totale che spazia dal melodramma alla fantascienza, dal pop al naif e dal realismo all’allegoria, si addentra magistralmente in un ambizioso ritratto della Cina moderna che è anche una riflessione universale sul tempo che passa e sull’eterno ritorno, descrivendo un mondo che ci sfugge in cui il passato, il presente e il futuro altro non sono che la sovrapposizione dello stesso momento, memoria o presagio che sia.

3. Paterson – Jim Jarmusch

La meraviglia del quotidiano, l’inestimabilità delle piccole cose, la bellezza sorprendente che si nasconde nella routine: se c’è un compendio di tutti gli elementi del pensiero e della poetica del più grande cineasta della scena statunitense non allineata contemporanea, questo è sicuramente il quieto e subliminale miracolo di Paterson, fragile e sublime ode alla dolce, democratica consolazione dell’Arte, un sonetto a rime alterne per l’uomo comune che è quanto di più vicino alla grazia e alla leggiadria di Ozu.

2. Il figlio di Saul – László Nemes

Se il cinema in quanto arte figurativa ha bisogno di una soglia oltre cui lo sguardo non deve porsi, se c’è davvero una questione morale alla base di ciò che si intende raccontare e, soprattutto, su come si decide di farlo e se c’è un punto in cui l’immagine deve necessariamente farsi ineffabile e irrappresentabile, allora Il figlio di Saul, sconvolgente squarcio prospettico sull’Olocausto, non è soltanto un’opera capitale, imprescindibile e definitiva sul baratro del Novecento, ma un non plus ultra audiovisivo capace di mettere in crisi tutte le nostre certezze di spettatori.

1. Nostalgia della luceLa memoria dell’acqua – Patricio Guzmán

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Il Cile è un Paese che giace sotto il peso delle proprie ferite, segnato nel corpo e nello spirito, martoriato nella sua assurda, barcollante conformazione idrogeologica e nella concatenazione di violenza che ne compone la Storia, recente o remota che sia.
In un dittico elegiaco antitetico e speculare in cui si passa dall’aridità del deserto alla vitalità dell’oceano, dall’indagine cosmologica con gli occhi rivolti verso il cielo alle infinite memorie del sottosuolo, Guzmán realizza l’affresco lirico e totalizzante di una civiltà “da dispiegare e da riavvolgere”, un documento di sovrumana suggestione che coniuga alla perfezione la missione mnemopolitica del cinema con una fede incrollabile nel potere delle immagini.

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