Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Se c’è una cosa che maggiormente si rimprovera alle (troppe) commedie che il cinema italiano, ogni anno, si ostina a sfornare con ritmi da catena di montaggio, è senz’altro l’eccessivo ricorso ad un buonismo che non di rado sfocia nello stucchevole tout court.
I principali problemi sono quindi due e riguardano da un lato un’offerta di molto superiore alla sua stessa domanda e, dall’altro, un utilizzo del genere che, al netto di un continuo riempirsi la bocca di rimandi ai propri padri fondatori, ha perso ormai da tempo ogni capacità di graffiare e di osservare il quotidiano anche in maniera impietosa. Il motivo cardine del meritato successo di film come Smetto quando voglio e Perfetti sconosciuti è più o meno spiegabile già solo con il modo in cui riescono a svicolare da questo pattern.
Spiace dunque che Riccardo Milani – regista, poco più di due anni fa, di Scusate se esisto!, una delle poche commedie che, seppur con tutti i limiti strutturali del caso, riusciva in qualche modo a conciliare sorriso e attenzione al sociale – cada rovinosamente proprio nel tentativo di invertire la tendenza di cui sopra.
Perché in Mamma o papà? (remake del francese Papa ou Maman di Martin Bourboulon) l’autore decide di giocarsi la carta del politically incorrect e lo fa in malo modo, attraverso l’apologo di Valeria (Paola Cortellesi) e Nicola (Antonio Albanese), moglie e marito in crisi che, una volta presa la decisione consensuale di separarsi, vengono entrambi trasferiti all’estero per lavoro. Ma c’è il problema dell’affidamento dei figli.
Laddove generalmente la notizia scatenerebbe infatti uno scontro da parte di entrambi per aggiudicarsene la custodia, la relativa ingestibilità della prole – nello specifico un odioso no global, una adolescente isterica e un bambino saccente – porta l’uno a spingerli tra le braccia dell’altra, attraverso una serie di comportamenti che definire da irresponsabili è poco.
Ed è qui che emergono le tare maggiori del film con, in primis, questa corsa per apparire come il peggior genitore della coppia che, malgrado mostri quasi subito la corda, viene invece tirata un po’ troppo per le lunghe. Ma, più in generale, è la cattiveria (elemento imprescindibile per un film che si rifà, quasi dichiaratamente, a La guerra dei Roses) ad essere gestita in modo goffo e, soprattutto, a non integrarsi in un contesto che è, al contrario, il più classico si possa immaginare, fino a creare nello spettatore un fastidioso cortocircuito che lo porta non solo a non immedesimarsi affatto con quanto vede sullo schermo, ma addirittura a dubitare fortemente che stia davvero accadendo.
Per dire che una scena in cui una madre, al fine di dimostrare la propria incapacità genitoriale, condisce della pastasciutta con il detersivo dei piatti, rischiando di fatto di uccidere la propria famiglia, può risultare spassosa in una puntata de I Griffin ma non in un’opera che pretenda di avere almeno un piede ancorato al piano della realtà.
I problemi iniziano però ben prima, con alcune scelte di casting per lo meno discutibili, a partire proprio da una Cortellesi inspiegabilmente impegnata a simulare una forzata cadenza veneta.
Solo che l’attrice, oltre ad essere coautrice della sceneggiatura, è la moglie del regista, mentre diverso è il discorso per quanto riguarda Albanese, la cui fisicità docile semplicemente mal si sposa alla sottile cattiveria che il suo personaggio è chiamato a veicolare.
Come spesso accade, ad alzare un po’ l’asticella provvede il reparto dei comprimari, con un Carlo Buccirosso mai meno che ottimo e l’accademica autoironia di Anna Bonaiuto.
Il resto è un affannoso e assai poco riuscito tentativo di strappare risate giocando con il concetto di famiglia disfunzionale fino a un epilogo che – inutile a dirsi – cerca di riportare il tutto su binari più riconciliatori risultando, proprio per questo, ancor più inverosimile.
Voto 4,5
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