Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
2029. Sei anni dopo il futuro riscritto al termine di X-Men – Giorni di un futuro passato. I mutanti sono quasi estinti, e gli X-Men non esistono più. Adesso Wolverine (Hugh Jackman) sbarca il lunario come autista di Limousine. Isolato e scoraggiato, il mutante con gli artigli di adamantio affoga i dispiaceri nell’alcol, nascosto in un rifugio al confine con il Messico. I suoi compagni d’esilio sono l’emarginato mutante albino Calibano (Stephen Merchant) e il Professor Charles Xavier (Patrick Stewart). Il mentore degli X-Men è però ormai un uomo malato, la cui mente è afflitta da crisi telepatichesempre più frequenti. Ma i tentativi di Logan di nascondersi dal mondo e dal suo passato finiscono bruscamente quando una misteriosa donna arriva con una pressante richiesta: Logan deve scortare una strana bambina, Laura (Dafne Keen), e portarla al sicuro. Si troverà così a dover sfoderare gli artigli ancora una volta per affrontare i nemici in una missione che lo condurrà su un sentiero alla fine del quale vedrà compiersi il suo destino.
Basato su Vecchio Logan, la storia a fumetti ambientata nel futuro di Mark Millar e Steve McNiven, questo terzo capitolo di Wolverine è un cinecomic con più anima che CGI: intimo e struggente, alterna atmosfere da western classico ad ambientazioni steampunk in puro stile Mad Max: Fury Road. Ma se dal film di George Miller si usciva storditi e quasi sopraffatti per tutte quelle mirabilie action, in Logan – The Wolverine i toni si fanno più pacati e riflessivi, dato che ad animare il più celebre tra gli X-Men ora ci sono gli impulsi primordiali, i moti più profondi dell’anima. C’è infatti un cambio di prospettiva alla base del film che, se da un lato tradisce la natura intrinseca di ogni pellicola di superereroi che si rispetti – che di norma è salvare il mondo – dall’altra è come se ne allargasse il raggio d’azione, paradossalmente, riducendo l’area nella quale il protagonista è portato ad agire: Logan non è chiamato a salvare la Terra, ma quelle poche persone care che gli sono rimaste accanto.
Perfetta incarnazione, in chiave mutante e moderna, degli antieroi dei film di Sam Peckinpah, Logan viene rappresentato come un personaggio stanco e rassegnato, che ha trovato rifugio nell’individualismo, per lui il solo modo possibile per difendersi dalle prevaricazioni e dal mondo. Difficile credere che dietro a questo Logan – The Wolverine ci sia la stessa mano che ha diretto il prescindibilissimo Wolverine – L’immortale, ovvero James Mangold. Eppure il regista, oltre a far propria la saga, inanella una serie di intuizioni sia narrative che visive davvero interessanti. Una tra tutte, la scena in cui Logan, X e la bambina si ritrovano in una stanza di albergo a guardare Il Cavaliere della Valle Solitaria di George Stevens in TV. Jackman, come Alan Ladd, è la perfetta incarnazione del cavaliere tormentato da un passato all’insegna della violenza, irruento ed eroico che, non potendo più contare sui suoi poteri rigeneranti, alla fine si rassegna ad affidare la sua eredità mutante alla giovane Laura.
Accanto a uno Hugh Jackman arrabbiato, barbuto e malconcio, mai così credibile e in sintonia con il suo alter ego fumettistico, un altrettanto perfetto Patrick Stewart, fragile e vulnerabile, che nei panni dell’ormai malconcio Professor X si trova a dover modulare la rabbia e i risentimenti del suo compagno di avventure.
Difficile pensare a un congedo migliore per Hugh Wolverine Jackman e a una chiusura di trilogia migliore con i mutanti che, da immarcescibili eroi del futuro, diventano creature caduche di un presente appena passato.
Per Logan – the Wolverine è stato emesso visto censura con il divieto ai minori di 14 anni.
Voto 7,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
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