Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Che si tratti di fuga a tempo indeterminato o di semplice soggiorno transitorio, i giovani italiani che vanno all’estero in cerca di fortuna sono in costante aumento. E Giovanni Veronesi lo sa bene, dato che ormai da anni interagisce con loro alla radio nella trasmissione che ha dato il titolo al suo ultimo film, Non è un paese per giovani. Il diciassettesimo lavoro del regista toscano nasce evidentemente dall’esigenza di tradurre in immagini almeno una delle tante storie ascoltate da conduttore del programma di RadioDue, in cui ragazzi andati via dall’Italia, gli raccontano la loro esperienza e le motivazioni che li hanno spinti a mollare tutto in cerca di un futuro migliore. Una premessa interessante, sulla carta, che non sembra però salvare il film né dalla scarsa originalità né dal suo rivelarsi poco avvincente.
Un tassello di questo grande esodo silenzioso, ci viene raccontato attraverso la vicenda di Sandro (il Filippo Scicchitano di Scialla!) e Luciano (Giovanni Anzaldo), due ventenni che lavorano come camerieri in un ristorante di Roma per pochi soldi, perfettamente consci del fatto che le loro prospettive di lavoro in Italia siano pari a zero. Così si fanno prestare dalle rispettive famiglie ventimila euro e decidono di partire per Cuba, con l’idea di aprire un ristorante italiano con il wi-fi gratuito, lì un servizio più unico che raro. Trovano alloggio da Nora (Sara Ferraiocco), ragazza italiana un po’ strana che vive arrangiandosi e che li aiuterà a realizzare il loro sogno.
Tra diversi “personaggi macchietta” (Sergio Rubini e Nino Frassica tra tutti), scorci di spiagge mozzafiato, la musica composta da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro e un’irritante pioggia di cliché, Non è un paese per giovani porta avanti l’aspetto più superficiale e retorico del fenomeno della fuga dei giovani all’estero, spingendo troppo sul lato romantico dei protagonisti e poco o niente su quello sociale e motivazionale. Ma davvero, con tutto il materiale ascoltato da Veronesi alla radio negli anni, questo compendio di esperienze male assemblate è la sola storia di “italiani all’estero” degna di essere raccontata?
Voto 4,5
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