Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
C’è fermento in terra di Spagna. E il cinema di genere, negli ultimi anni, ne sta dando prova tangibile. Da La notte dei girasoli di Jorge Sánchez-Cabezudo a La isla minima di Alberto Rodriguez, passando per Desconocido di Dani de la Torre, fino a questo Tarde para la ira, il thriller si conferma il terreno più fertile su cui i “nuovi” autori spagnoli possono sperimentare al meglio idee e punti di vista attraverso un linguaggio che, se da un lato guarda al modello letterar-cinematografico-televisivo dell’ hard-boiled americano (nel caso de La isla minima, i riferimenti alla prima stagione di True Detective sono più che evidenti), dall’altro mantiene una certa continuità di stile e temi già affrontati da autori iberici del recente passato.
Così l’atteso debutto alla regia dell’attore Raúl Arévalo (Ballata dell’odio e dell’amore, Gli amanti passeggeri, Azul oscuro casi negro) amalgama perfettamente la ricerca di realismo e la credibilità narrativa con il ritmo e la spettacolarizzazione propri del cinema di genere. Dopo tanti anni passati a interpretare (e ad osservare), per il regista madrileno evidentemente era arrivato il momento di passare dall’altra parte, e lo ha fatto in modo totale e completo, senza alcuna intenzione di risparmiarsi, mettendo nel suo lavoro d’esordio tutto l’impeto e lo slancio di un debuttante che si è fatto le ossa e sa perfettamente dove andare a parare. Perché la storia del tranquillo borghese che si trasforma in uno spietato vendicatore a causa di un torto subìto è al centro di tantissimi revenge movie, ma ne La vendetta di un uomo tranquillo, si arriva al fulcro della vicenda per vie traverse, dopo aver valicato una premessa che sembra promettere tutt’altro film. Poi le trame si intrecciano, i personaggi si svelano e, nonostante il materiale di partenza abusato, Arévalo riesce a creare svolte narrative e cambi di contesto inaspettate, sostenute da una tensione che non cala un attimo e da una struttura priva del benché minimo cedimento.
Il risultato è una parabola vendicativa dal ritmo serrato, sceneggiata dallo stesso Arévalo e dal suo amico psicologo David Pulido, con dei dialoghi naturali e ben scritti e una regia brutale e selvaggia che dal primo minuto – splendido il piano sequenza iniziale il cui punto di vista coincide con l’interno dell’auto in fuga – afferra lo spettatore e lo trascina a forza dentro lo schermo.
Interpretato da un cast perfettamente in parte (inappuntabile l’apparente catatonia di Antonio de La Torre, così come la convincente ingenuità di Ruth Díaz), La vendetta di un uomo tranquillo in più di un’occasione fa leva sulle diverse tecniche per creare la suspense, utilizzandole al meglio: la verità viene a galla lentamente e spesso in un’inquadratura c’è qualcuno che non sa nulla e qualcun altro che invece sa anche troppo.Aspetto che contribuisce a creare, in chi guarda, un’attesa continua e straziante che è la forza motrice del film. Se a questo aggiungiamo una colonna sonora funzionale al racconto che all’occorrenza si fa cupa e martellante, rimane davvero difficile aspettarsi qualcosa di più da un film di esordio.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Il film d’esordio di Raúl Arévalo è un’esperienza tesa e concitata che capovolge gli stilemi del revenge movie.
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