Power Rangers

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Che poi uno ci prova pure ad approcciare questo Power Rangers senza pregiudizi di sorta.
Un po’ perché, traendo origine da un franchise televisivo che già era un festival del trash che la metà bastava, più o meno sai che il risultato, al netto di poco ipotizzabili rivoluzioni copernicane, difficilmente si discosterà da quella cosa lì.
E poi perché speri che un’operazione in ogni caso volta ad intaccare, anche un minimo, l’indiscussa supremazia della Marvel nella costruzione di immaginari supereoistici (almeno nei sogni più proibiti del demiurgo Haim Sabian) non possa prescindere da un lavoro di riscrittura che, sebbene nostalgico per sua stessa natura, sia in grado di fare i conti con la maturità espressiva dei moderni cinecomic o, se non altro, di cimentarsi nello stesso campionato.
E, in quest’ottica, il film non inizia neanche male, con un notevole incidente automobilistico ripreso dall’interno dell’abitacolo, l’incontro casuale dei cinque protagonisti in stile Breakfast Club – archetipo cinematografico di tutto lo young adult – e l’iter che porterà questi cinque giovani loser a diventare i difensori del Pianeta strutturato in una maniera non dissimile dal primo Spider-Man.



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A quel punto ti dici che poteva andare parecchio peggio. Riesci addirittura a mandar giù un attore sublime come Bryan Cranston costretto ad apparire sullo schermo in tutina adamitica. Gli autori d’altronde devono sapere che, in qualche modo, le loro carte migliori sono quelle della letteratura adolescenziale perché vi indugiano non poco, quasi procrastinando il momento delle armature colorate, degli Zord e dell’inevitabile scontro finale tra bene e male. Perché quando i cinque smettono di preoccuparsi di paturnie adolescenziali e realizzano di essere gli unici in grado di salvare la Terra dalle mire della cattivissima Rita Repulsa (interpretata da una Elizabeth Banks così caricaturale che, più che ai classici villain dei cinecomic, fa pensare a una versione meno sexy della Miss Dronio di Yattaman), Power Rangers sprofonda in un abisso di noia e camp senza fondo e, ahinoi, abbastanza privo anche di senso.
Non una parola insomma sulle responsabilità dell’essere eroi o sui dubbi che, almeno in teoria, immaginiamo abbia chiunque si senta investito da un ruolo che mai avrebbe immaginato possibile. Se si eccettua un’ovvia riluttanza iniziale, infatti, i giovani protagonisti accettano i propri poteri extraterrestri –  così come il trovarsi, da un momento all’altro, all’interno di un’antica astronave abitata da un Wall-E affetto da logorrea –  con relativa (e incomprensibile) nonchalance.

Ecco quindi che la leggerezza iniziale viene a scemare lasciando spazio ad un “vorrei ma non posso” in alcun modo imputabile a un budget comunque importante (il film è costato 100 milioni di dollari), in cui l’inconsistenza di fondo del materiale originale non solo si palesa ma, nel passaggio da serie TV di basso profilo a grandeur da megaproduzione, viene addirittura amplificata.
Il regista Dean Israelite, alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa, fa quel che può per arginare lo tsunami kitsch che potrebbe abbattersi in ogni momento sugli spettatori e a un certo punto, pur di non sopperirvi, sembra quasi cavalcarlo, in una scena finale raffazzonata e priva di qualsiasi afflato epico.
Roba da rivalutare Suicide Squad o il pessimo Batman V Superman: Dawn of Justice.
Ora, per quanto questo Power Rangers possa essere brutto (ed è brutto) e non adatto né ad un pubblico adulto che, sul versante più giocoso, preferirà attendere il nuovo Guardiani della galassia e Deadpool 2 né, tanto meno, a quello più infantile che difficilmente comprenderà l’ironia di una scena in cui uno dei protagonisti “munge” un bue credendo sia una mucca, qui il problema è un altro.
Se il film dovesse poco poco andar bene al box office, infatti, Sabian ha già fatto sapere di essere intenzionato a metterne in cantiere altri cinque.
Ce n’è di che non dormire la notte.

Voto 3

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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